La deflagrazione avvenuta nella notte ha colpito l’auto e la casa del giornalista Rai. Per gli inquirenti è un gesto intimidatorio. Il giornalista riceve solidarietà trasversale: «Chi ha messo quella bomba ha dichiarato guerra alla verità»
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Un boato nella notte, una fiammata improvvisa, poi il silenzio rotto dalle sirene. A Pomezia, alle porte di Roma, un ordigno è esploso sotto l’auto di Sigfrido Ranucci, conduttore e vicedirettore di Rai 3, volto e anima del programma d’inchiesta Report. Nessuno è rimasto ferito, ma i danni sono ingenti: l’auto è stata distrutta, la facciata dell’abitazione danneggiata, un’altra vettura della famiglia colpita in pieno. L’esplosione, avvenuta nella notte tra lunedì e martedì, ha sfiorato la tragedia.
Ranucci, che da anni porta avanti inchieste scomode su politica, finanza e criminalità, era in casa con i suoi familiari. L’attentato non ha lasciato dubbi sulla sua matrice intimidatoria: un messaggio violento e vigliacco a un giornalista che da tempo vive sotto tutela.
La notizia ha scosso l’opinione pubblica e il mondo politico. Le reazioni sono arrivate immediate, in un coro di solidarietà che, almeno per una volta, ha superato gli steccati di partito.
«Quanto successo a Pomezia è di una gravità inaudita e inaccettabile. Totale solidarietà a Sigfrido Ranucci e alla sua famiglia», ha scritto sui social il vicepremier Matteo Salvini, leader della Lega.
Anche la premier Giorgia Meloni ha espresso vicinanza al giornalista: «Difendiamo la libertà e l’indipendenza dell’informazione. La mia solidarietà a Ranucci per un gesto vile e inaccettabile».
Dalle opposizioni sono arrivate parole durissime. L’ex deputato
«Quando i giornalisti vengono lasciati soli da un potere che dovrebbe proteggerli; quando le istituzioni attaccano la libera informazione, quando la politica delegittima chi ha il coraggio di denunciare e di combattere con notizie e verità mafia, corruzione e genocidi in diretta streaming; allora qualche balordo si sente autorizzato a fare quello che è stato fatto stanotte a Ranucci. Mi auguro che tutte le alte cariche dello Stato esprimano la massima solidarietà a un giornalista perbene e libero che stanotte sarebbe potuto morire».
Solidarietà anche da Marco Grimaldi, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, che ha scelto parole durissime:
«Stanotte, nel silenzio di una strada qualunque, un’esplosione ha squarciato la normalità. Un ordigno piazzato sotto l’auto di Sigfrido Ranucci ha distrutto non solo una vettura, ma ha sfiorato la vita di chiunque fosse lì per caso. Ha danneggiato la casa, l’altra auto di famiglia. Poteva essere una strage. Non è un avvertimento: è un salto di qualità. È il linguaggio di chi non ha più paura di mostrarsi per quello che è. Colpire Ranucci significa colpire il giornalismo d’inchiesta, quello che non si piega».
Grimaldi ha chiesto «indagini rapide, protezione concreta e condanne nette», aggiungendo che «chi ha messo quella bomba ha dichiarato guerra alla verità. E lo Stato deve rispondere senza esitazioni».
L’attentato ha riacceso un tema antico: la vulnerabilità dei giornalisti investigativi in un Paese dove la libertà di stampa resta formalmente garantita ma quotidianamente minacciata da querele temerarie, campagne di delegittimazione e, come in questo caso, da veri e propri gesti di violenza.
In queste ore, la Procura di Velletri ha aperto un’inchiesta per attentato esplosivo aggravato. Gli artificieri hanno trovato tracce compatibili con un ordigno rudimentale, probabilmente collocato con l’intento di intimidire piuttosto che uccidere. Ma la violenza dell’esplosione e la vicinanza con l’abitazione rendono chiaro quanto il gesto potesse avere conseguenze tragiche.
Ranucci, 58 anni, romano, ha ereditato la direzione di Report da Milena Gabanelli e ne ha conservato la cifra più autentica: il rigore delle indagini e la volontà di raccontare il potere senza sconti. Nel corso della sua carriera ha firmato inchieste su temi delicati — dalla sanità alla politica, dalle mafie ai servizi segreti — spesso attirandosi minacce e denunce.
Negli ultimi mesi, Report aveva dedicato diverse puntate a temi sensibili, come il rapporto tra politica e finanza, gli appalti pubblici e i legami tra imprenditoria e criminalità organizzata.
Le associazioni di categoria, dall’Ordine dei Giornalisti alla Federazione della Stampa (Fnsi), hanno condannato l’attentato parlando di “atto gravissimo e intimidatorio contro la libertà d’informazione”. Il sindacato dei giornalisti Rai ha chiesto «protezione immediata per Ranucci e per tutti i colleghi impegnati nel giornalismo d’inchiesta».
Sui social, centinaia di colleghi e cittadini hanno espresso vicinanza al conduttore. Tra i primi, Sigfrido Ranucci ha risposto con poche parole: «Ringrazio tutti per l’affetto. Continuerò a fare il mio lavoro, perché l’informazione libera non si ferma davanti alla paura».
Un messaggio che suona come una dichiarazione di resistenza civile. Perché il boato di Pomezia non è solo un atto di intimidazione contro un uomo, ma un colpo alla libertà di tutti. Ed è per questo che la reazione delle istituzioni non può limitarsi alle parole di rito.
Dietro la porta sventrata e l’auto in cenere, resta l’immagine simbolica di un Paese che deve scegliere da che parte stare: dalla parte della verità o del silenzio. Ranucci, ancora una volta, sembra aver già scelto.