«Voglio andare in paradiso per essere finalmente felice». «Voglio raggiungere mamma e papà».«Voglio smettere di soffrire». Così Francesco Vilotta, scrittore e filosofo cosentino, firma importante della nostra testata, ha lanciato l’allarme sulla ‘strage degli innocenti’ che sta bagnando di sangue innocente un’intera area della Palestina.

«Voglio andare in paradiso per essere finalmente felice» sono parole che nessun bambino dovrebbe mai pronunciare. E invece a Gaza tutti i bambini vivono sconvolti sotto le bombe e sperano di morire per trovare un po’ di pace.

I bambini di Gaza non sognano più, non conoscono i giochi dell’infanzia, non sognano più un futuro: invocano solo la morte! Nei loro disegni non ci sono altalene o campi con i fiori, ma il paradiso, l’unico luogo dove credono di trovare pane e i loro cari uccisi. Tantissimi bambini di Gaza sono orfani.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato ufficialmente la carestia a Gaza. Neonati senza nemmeno un sorso d’acqua per dissetarsi, madri costrette ad allattare con acqua sporca e farina, bambini che collassano senza più forza. Secondo UNICEF e Save the Children oltre 320 mila bambini sotto i cinque anni rischiano la vita nell’immediato. Sono decine di migliaia i casi di malnutrizione acuta, centinaia già oltre la soglia della sopravvivenza. Ogni giorno almeno dieci morti di fame, soprattutto piccoli. È questo cos’è se non genocidio?

E non è destino, è scelta. Gaza è stata deliberatamente trasformata in una trappola: i valichi chiusi, i convogli umanitari respinti, gli aiuti lasciati marcire. La fame è l’arma micidiale, la più infame, perché colpisce i più fragili. Gaza è un cimitero di infanzie, un laboratorio di morte sotto gli occhi del mondo.

E allora basta giri di parole: Trump, Von der Leyen, Macron, Meloni, papa Leone: quante altre bare bianche devono sfilare prima che vi assumiate la responsabilità di agire? Perché non facciamo tutti come il cardinale Pizzaballa che ha deciso di rimanere nella striscia, anche a costo di morire? Quella è la testimonianza più forte, più vera, più potente: ora tutti i grandi del mondo vadano a Gaza, si sporchino le scarpe tra le macerie della Striscia e fermino Israele. Urlando al suo governo: basta! Basta! Basta!

Non servono a nulla le dichiarazioni di circostanza, i vertici senza conseguenze. I bambini muoiono adesso, non domani.

L’87% della Striscia è sotto ordine di evacuazione: non esiste più un luogo sicuro. A Gaza è iniziato lo sgombero di 2 milioni di abitanti, e ora persino la speranza uccide: pacchi di aiuti lanciati dal cielo sono diventati trappole mortali per piccoli che correvano incontro al pane, che da speranza di vita è diventato trappola di morte.

Un bambino di Gaza ha disegnato un prato, un tavolo pieno di pane, un cielo azzurro. Sopra una sola parola: «Paradiso». Non è religione: è la fame che lo costringe a sognare la morte come liberazione.

E allora urliamo ai leader del mondo: l’ora dei comunicati è finita. Aprite i valichi, imponete corridoi umanitari, fermate la carneficina. Ora, non domani.

Perché ogni bambino che muore di fame non è una fatalità: è un crimine contro l’umanità.

E chi tace, chi finge di non vedere, chi sceglie l’indifferenza, porterà per sempre su di sé la colpa di questa strage.