L’abbordaggio è avvenuto: le motovedette e i gommoni della Marina israeliana hanno circondato e fermato le 47 imbarcazioni della Global Sumud Flotilla. Ora, con gli attivisti a bordo delle navi militari diretti verso Israele, scatta la seconda fase di un’operazione che Tel Aviv considera tra le più delicate dell’ultimo decennio. Non è solo una questione di sicurezza in mare: la gestione di 500 passeggeri internazionali, molti dei quali noti e seguiti dai media, richiede una macchina organizzativa colossale.

In campo ci sono i corpi speciali della Marina, la Shayetet 13, abituata a operazioni di forza e blitz notturni. Sono stati loro a guidare l’abbordaggio, salendo a bordo delle barche, immobilizzando i timonieri e sequestrando i telefoni per interrompere le trasmissioni. Ma la loro missione non si ferma qui: continueranno a garantire la sicurezza durante il trasferimento fino al porto di Ashdod, dove altri reparti prenderanno in consegna gli attivisti.

Il Times of Israel parla di un dispositivo imponente: almeno 600 agenti di polizia mobilitati per i porti israeliani, con un focus proprio su Ashdod, designato come punto di arrivo. Qui sono stati predisposti centri di trattenimento temporanei e sale per udienze amministrative lampo. Chi accetterà la deportazione immediata verrà rispedito nei Paesi d’origine; chi si opporrà dovrà affrontare procedure legali e, in alcuni casi, periodi di detenzione.

Il National Security Council coordina ogni fase dalla sala comando centrale. Anche durante Yom Kippur, la festività più solenne del calendario ebraico, la struttura resta attiva: i soldati hanno ricevuto dispensa dal digiuno e dagli obblighi liturgici per garantire la continuità operativa. Un dettaglio che misura il livello di allerta. «Questa è un’operazione ad alta complessità, perché mette insieme aspetti marittimi, terrestri e diplomatici», ha spiegato un ufficiale della sicurezza a Ynet.

Le forze armate hanno attivato anche l’unità Nahal e personale medico specializzato. Medici militari e paramedici sono pronti a intervenire in caso di emergenze sanitarie a bordo o durante gli sbarchi forzati. Un piano che si estende fino agli ospedali civili vicini ai porti, in stato di preallerta.

La gestione politica è affidata a un gruppo ristretto sotto la supervisione diretta di Benjamin Netanyahu. Il premier ha incaricato i suoi ministri di seguire l’operazione come priorità assoluta, consapevole che la Flotilla non è solo un caso di sicurezza nazionale ma anche un test di immagine globale. Le figure a bordo, tra cui parlamentari europei, medici e attivisti celebri come Greta Thunberg, rendono infatti ogni gesto un potenziale caso diplomatico.

L’incubo del 2010 resta dietro l’angolo. Allora, durante l’abbordaggio della Mavi Marmara, morirono dieci attivisti turchi e Israele visse una delle più gravi crisi diplomatiche della sua storia recente. «Non vogliamo un nuovo caso Marmara», ha detto un funzionario a Yediot Ahronoth, sottolineando che questa volta non si tratta di un gruppo organizzato di estremisti, ma di una carovana internazionale con grande esposizione mediatica.

Nonostante la potenza messa in campo, la parola d’ordine è “contenere senza provocare”. La Marina ha ricevuto l’ordine di usare la forza solo in caso di resistenza attiva, mentre la polizia è stata istruita a gestire i trasferimenti in modo rapido e silenzioso. Ogni telecamera accesa, ogni immagine diffusa, potrebbe trasformarsi in un boomerang per Israele, già sotto pressione internazionale per le operazioni militari a Gaza.

Il dispositivo prevede anche un controllo informativo: il blackout dei canali social delle navi abbordate, la confisca dei telefoni, la gestione delle prime notizie attraverso fonti ufficiali. Un tentativo di ridurre l’impatto mediatico e impedire che video o testimonianze alimentino accuse di violazioni.

In mare, le imbarcazioni sequestrate vengono rimorchiate verso Israele o spente e lasciate galleggiare fino al recupero. In aria, droni e aerei di ricognizione continuano a sorvegliare l’area, pronti a segnalare eventuali tentativi di ingresso da parte di altre imbarcazioni solidali. A terra, le pattuglie di polizia presidiano strade e accessi ai porti, per evitare manifestazioni o intrusioni.

Israele ha trasformato la gestione della Flotilla in un’operazione militare e politica allo stesso tempo. Una prova di forza pianificata nei minimi dettagli, in cui ogni reparto ha un ruolo preciso e ogni errore può diventare caso internazionale. L’abbordaggio è avvenuto. Ora resta da capire come Tel Aviv riuscirà a gestire le ore più delicate: lo sbarco, le espulsioni, le inevitabili reazioni globali.