La puntata si inaugura con un doveroso riferimento agli eventi internazionali che scuotono la coscienza universale: gli ultimi attacchi che hanno nuovamente insanguinato Gaza e Israele. Eppure, se la guerra lontana ci appare come un eterno ritorno del caos, anche la Calabria, in quella scena televisiva e politica, che Antonella Grippo orchestra con la grazia di un deus ex machina, mostra le proprie battaglie: incruente ma laceranti, feroci nella parola e nel ricordo, e non meno decisive per il destino della comunità (QUI PER RIVEDERLA). Infatti, la soglia tanto attesa delle elezioni regionali in Calabria, si avvicina sempre più.

Prime schermaglie tra Antonio Lo Schiavo e Giuseppe Scopelliti

Il confronto si apre con Antonio Lo Schiavo, che erige subito la difesa di Pasquale Tridico, talvolta accusato d’essere estraneo alla Calabria. «Non è così» — afferma con vigore —. Tridico non solo è figlio di questa terra, ma ne incarna la parabola più nobile: quella di chi, attraverso il merito, ha saputo affermarsi altrove, innalzando con le proprie competenze il nome calabrese ben oltre i confini regionali.

La conduttrice interviene, ricordando come all’inizio della campagna elettorale Tridico sembrasse riluttante a strumentalizzare le questioni giudiziarie di Occhiuto, salvo poi mutare registro negli ultimi giorni, mostrandosi più forte, quasi. A ciò replica Lo Scavo, richiamando l’essenza stessa del garantismo: Occhiuto — egli sostiene — aveva il diritto e il dovere di proseguire il mandato di presidente della Regione, fino a quando la legge e la giustizia non avessero disposto altrimenti.

Scopelliti si pone come la voce che ritorna, regalando ai telespettatori di Perfidia degli inediti mai pronunciati prima. Infatti, il centro pulsante della serata, il momento che si staglia come nodo drammatico, è proprio il ritorno di Giuseppe Scopelliti, ex presidente della Calabria. La sua voce si leva, grave e risentita, contro un’accusa che lo ha inseguito come un’ombra implacabile: quella di aver chiuso gli ospedali calabresi.

«Non è così» — scandisce. La responsabilità di quella chiusura, afferma, fu di Agazio Loiero, che sottoscrisse con il governo un piano di rientro comprendente venti ospedali. Egli, da presidente, non fece che esercitare la continuità amministrativa. Da anni, però, quella verità è stata piegata, brandita come un’arma per colpirlo, trasformata in marchio politico e in condanna morale.

Scopelliti non si ferma alla cronaca: la sua parola si fa confessione e denuncia. Rievoca la mancanza di lealtà persino fra i suoi stessi alleati, il tradimento silenzioso di chi, nella medesima compagine, dialogava con gli avversari e, forse, stringeva accordi occulti. È la politica, sembra dire, a tradire se stessa, perché troppo spesso incanalata sul soddisfacimento immediato dei bisogni, e non più sulla tensione verso il bene collettivo. Il suo discorso si fa memoria economica: sotto la sua amministrazione i tributi calabresi venivano trattenuti a Roma, destinati a sanare i debiti contratti nei trent’anni precedenti. Un fardello antico, una catena che egli dovette portare, e che tuttavia ricadde su di lui come stigma indelebile.

In questo momento Scopelliti appare quasi figura tragica, eroe sofocleo condannato non tanto dalle proprie colpe, quanto dall’infedeltà degli amici e dalla forza cieca delle circostanze. Machiavelli, nei Discorsi sopra Tito Livio, ammoniva che le fortune degli uomini di governo dipendono non solo dalla virtù, ma dalla fortuna, e che sovente il tradimento dei compagni pesa più della lotta con i nemici. In queste parole sembra riflettersi la parabola dello stesso Scopelliti.

Il talk

Subito dopo, prendono voce gli altri protagonisti: l’ex generale Giuseppe Graziano, volto di Casa Riformista; il sindaco di Corigliano Rossano, Flavio Stasi; Domenico Furgiuele, esponente della Lega; e Franceschina Bufano, interprete della compagine Occhiuto Presidente.

Graziano incalza da subito accusando Occhiuto di non aver mai chiarito le ragioni delle sue dimissioni, anteponendo il bene personale al bene pubblico, e punzecchia Stasi chiedendogli perché la scelta non sia ricaduta su di lui, bensì su Tridico. La Bufano si mostra composta, precisa, quasi cristallina nella sua calma: ribadisce che molta gente riconosce l’attività svolta da Occhiuto.

Antonella Grippo, maestra d’equilibrio, pone la domanda decisiva: «Il campo largo, che nelle Marche non ha funzionato, può avere fortuna in Calabria? O forse gli elettori stessi ne respingono la formula?» Il generale risponde con fermezza: si tratta di un’alleanza variegata, sì, ma capace di sintesi. «La narrazione non è la realtà» — ammonisce.

Bufano insiste che i sondaggi portano Occhiuto al primo posto, mentre Furgiuele rilancia la visione di una Calabria riscattata attraverso il lavoro e non resa dipendente dai sussidi. «Chi pensa ai sussidi crea schiavitù». Ma Stasi lo incalza: «E allora i centomila euro promessi da Occhiuto a chi si trasferisce nei borghi spopolati, cosa sono, se non sussidi?»

La dialettica si fa serrata, ma Antonella non perde il filo: chiede al generale se la rimonta sia plausibile. «È molto plausibile» — risponde, e Stasi annuisce. Bufano conclude ribadendo che il vento di cambiamento chiede in realtà continuità: la prosecuzione di ciò che è stato fatto.

A questo coro si aggiungono Dalila Nesci (Fratelli d’Italia) e Maria Rosaria Franzè (Tridico Presidente). Nesci, già candidata Cinque Stelle e poi distante dal Movimento, ricorda di essere stata abbandonata nella battaglia per la sanità, pur rivendicando i progressi compiuti. Franzè risponde con decisione: «È arrivato il momento di cambiare. La gente deve rapportarsi ai fatti concreti. Cambiare si deve, per fare la differenza».

Antonella Grippo orchestra gli opposti, senza mai cedere alla tentazione del protagonismo

Se Hobbes ammoniva che “l’uomo è lupo per l’uomo”, lei dimostra che il lupo, attraverso il logos, può essere domato. Ed è in questa notte di parole, densa di accuse e rivendicazioni, che la Calabria ha visto non solo lo scontro dei suoi uomini politici, ma anche il ritorno di un’antica voce: quella di Giuseppe Scopelliti, che ha reclamato la sua versione di verità contro l’ombra della memoria deformata.

E il pubblico, testimone silenzioso, ha assistito non a un semplice dibattito, ma a una scena che appartiene alla storia: storia di uomini, di destini e di una terra che, ancora una volta, cerca se stessa nel teatro della parola. La trasmissione si conclude ricordando ai telespettatori che l'appuntamento è fissato per venerdì 3 ottobre con ospiti i leader nazionali dei partiti impegnati in questa campagna elettorale.