È una guerra di trincea quella che si combatte, ogni giorno, nei triage dei Pronto soccorso calabresi. Da una parte del vetro sta chi deve ricevere le cure. Questa fazione, i pazienti e i loro parenti, negli ultimi anni è diventata sempre più aggressiva. La regola è: chi più grida, prima passa. Con buona pace di chi sta peggio, di bambini e anziani. Chi arriva in Pronto soccorso sa che dovrà affrontare un girone infernale con lunghe attese. E il malcostume sta diventando una regola. Dall’altra parte del vetro, però, c’è personale demansionato, sottopagato, sotto organico che fa turni di otto ore con pochissimo tempo anche per andare in bagno. Come in tutti i luoghi di lavoro ci sono i volenterosi e chi si nasconde. Così come tra i cittadini ci sono le persone ragionevoli e oneste e chi aggredisce, insulta, grida, tira testate contro i vetri, mente sul proprio isee e mente sul proprio stato salute pur di avere una priorità. È un clima da guerriglia che fa male, malissimo, a un paese civile. E diventa ancora di più lo specchio della cattiva gestione della sanità.

Se mancano gli oss

Queste due fazioni vivono la trincea del Pronto soccorso in uno stato di tensione quasi costante. Nessuno guarda alle ragioni dell’altro perché non c’è tempo, perché le emergenze incombono, perché le mansioni da svolgere sono molteplici.
Gli infermieri di pronto soccorso, in particolare, sono la categoria più a rischio. I turni sono massacranti e anche se ci sono stati innesti, a tempo determinato, da parte di infermieri provenienti da alcune Rsa, i nuovi vanno formati ai ritmi di un reparto di emergenza-urgenza. E poi mancano gli oss, operatori socio sanitari. Sono una branca fondamentale, specie in un ambiente come il pronto soccorso. Si occupano di accompagnare i pazienti, della loro igiene e di cambiare i letti, di portare prelievi e cartelle cliniche e di supportare gli infermieri in determinate operazioni.

Fare il proprio lavoro e quello altrui

Oggi i pronto soccorso vanno avanti anche grazie agli oss che arrivano dalle scuole di specializzazione. Ma non basta. Nel reparto di Osservazione breve intensiva dell’ospedale di Lamezia Terme, per esempio, per otto posti letto ci sono solo due oss che dividono i turni tra mattina e pomeriggio. Dunque un operatore a turno. L’Obi resta scoperto nelle notti e nei giorni festivi. Senza contare agosto quando, con le ferie, c’è un solo operatore a coprire solo otto ore. E il resto del tempo? I responsabili fanno spallucce: si chiama l’oss di pronto soccorso (come se non avesse niente da fare) o si demanda tutto agli infermieri i quali si trovano a fare il proprio e anche il lavoro degli altri: magari ad agosto, quando la popolazione aumenta ma il pronto soccorso resta depotenziato. Il lavoro diventa immane, le tensioni crescono e le aggressioni pure.

Nessuno vuole andare a lavorare nei Pronto soccorso, nessuno vuole restarci a lungo.
Gli angeli dell’era Covid sono diventati inumani e senza empatia, insultati sui social e anche nei comunicati stampa di chi, però, il parente che lo fa passare prima in Ps ce l’ha.

Le cause per il demansionamento

Nessuno, però, guarda a monte. E a monte nessuno fiata, tanto meno per difendere la categoria degli infermieri.
Eppure, volendo guardare bene, una sorta di ammissione di responsabilità l’Asp di Catanzaro è stata costretta a praticarla. Nel 2021 è partita la prima causa di lavoro per il riconoscimento del demasionamento del lavoro di un infermiere dell’Asp di Catanzaro.

Una causa pilota alla quale se ne sono aggiunte molte altre, seguite dall’avvocato lametino Alessandro Cortese. Oggi se ne contano oltre 150: tutti infermieri dell’Asp di Catanzaro, costretti a svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle previste dal loro profilo professionale. Nel 2022 sono arrivati i primi risarcimenti. Oggi si contano indennizzi per circa 800mila euro. Il cerchio si dovrebbe chiudere a metà 2026. L’Asp paga e non fa appello.