Attesa dal 2007, la struttura dovrebbe essere consegnato nel 2026 ma l’entrata in esercizio resta incerta. Il nuovo nosocomio è chiamato a sanare rivalità storiche e fallimenti politici locali. Servono però decine di medici
Tutti gli articoli di Sanità
PHOTO
Probabilmente non basterà il prossimo Natale, nonostante la consegna sia prevista per ottobre 2026. L’ospedale della Sibaritide però, quando entrerà in esercizio – attenzione è ben diverso dal consegnare la struttura sanitaria chiavi in mano – assolverà a compiti politici e non prettamente solo sanitari.
Questo ospedale, nel nordest calabrese lo si attende dal 2007 e dopo essere finito per oltre un decennio nelle sabbie mobili della burocrazia, andrà incontro a mille sfide. In primis quella di fungere da cerniera tra Rossano e Corigliano – anche per la sua collocazione baricentrica in contrada Insiti, terra di mezzo tra i due centri della “nuova” città –.
Contestualmente bisognerà riuscire a trattenere tutte le unità operative complesse previste, come la medicina nucleare che pian piano sembra essere sparita dal tavolo di concertazione tra Regione – il concedente – la D’Agostino – la concessionaria che lo sta costruendo e che lo gestirà per 28 anni dall’entrata in esercizio – e l’Asp di Cosenza.
In proposito, nei giorni scorsi la denuncia del portavoce regionale di Avs, Giuseppe Campana, ha scosso l’opinione pubblica, da sempre segnata dai continui scippi perpetrati a questo territorio. Peraltro, nell’ospedale della Sibaritide è (o era?) previsto il primo e – al momento – unico ciclotrone in Calabria, come si evince dal piano economico finanziario sottoscritto dalla Regione.
Il ruolo “politico” dell’ospedale della Sibaritide
Si diceva del ruolo politico dell’ospedale, che secondo i ben informati ha accumulato diversi mesi di ritardo sulla tabella di marcia, nonostante l’ottimismo del management. Una volta entrato in esercizio, in un sol colpo, cancellerà pennacchi, campanili e baronati medici. In un’unica struttura confluiranno tutte le risorse degli ospedali Giannettasio e Compagna, cancellando per sempre una atavica – ed allo stesso tempo vergognosa – competizione tra i due nosocomi che nelle “carte” regionali viene definito come spoke di Corigliano Rossano.
Tutti, nolenti o volenti, dovranno andare a lavorare in un luogo fisico unico e dovranno piacersi per forza, compresi quei primari che seppur man mano stiano andando in quiescenza, sono stati i primi a istillare nella testa dei loro collaboratori concorrenza e rivalità. Oggi quelle carte regionali indicano la via sanitaria da seguire ma che rimane ancora chiusa: i reparti chirurgici dovrebbero essere collocati tutti al Giannettasio di Rossano, dove insiste la Rianimazione, quelle mediche a Corigliano.
Ed è proprio di questi giorni – il fatto in sé è sintomatico di come funzionino le cose da queste parti – la polemica sul trasferimento del punto nascite, della ginecologia e dell’ostetricia da Corigliano a Rossano, da dove nel 2012 erano state scippate barbaramente per favorire le dinamiche in atto in quegli anni nel centrodestra locale – con l’ex sindaco e consigliere regionale Giuseppe Caputo da una parte ed il deputato Giovanni Dima dall’altra, da sempre fratelli serpenti nel loro perenne braccio di ferro – sulla base delle simpatie politiche di questo o quel primario.
Scelte di questo tipo, generate dalla politica e assecondata dal management sanitario – eterodiretto da quelle stesse forze – hanno causato catastrofi nella gestione dei servizi in sé e nelle opinioni della popolazione.
Oggi quei problemi potrebbero essere, finalmente, risolti dall’ospedale della Sibaritide, che dovrà assurgere a simbolo della fusione, un processo sociale gestito malissimo in questi anni di amministrazione Stasi.
…e quello sanitario
L’ospedale della Sibaritide, ancora, per vocazione dovrebbe essere dedicato alla traumatologia, anche perché è allocato lungo la statale 106, la famigerata “strada della morte”. Peraltro sarà l’unico ospedale degno di questo nome tra Crotone e Policoro.
Oggi il Giannettasio ed il Compagna assolvono a compiti da lazzaretto. Nei pronto soccorso arrivano pazienti da tutta la Sibaritide, anche per un’emicrania. Un’inchiesta di LaC ha smascherato proprio questo andazzo, scoprendo un numero incredibile di abbandoni al pronto soccorso, cioè di pazienti che dopo aver approfittato di una consulenza se ne sono tornati a casa con la fatidica e tanto agognata “ricetta” in mano, senza più passare dal pronto soccorso e quindi chiudere la prestazione.
Ciò significa – da una parte – che i medici di medicina generale non fanno più i medici ma i dispensatori di prescrizioni, “invitando” i loro pazienti a recarsi in ospedale per una qualunque patologia: un fenomeno (ovviamente non se ne faccia di tutta l’erba un fascio) diffusosi dopo il Covid e che sgrava il medico cosiddetto di famiglia dalle proprie responsabilità.
Dall’altra vuol dire anche che la tanto declamata medicina territoriale – quella progettata col Pnrr, dei poliambulatori, delle case della salute, degli ospedali di comunità – resta ancora solo frutto della fantasia di chi redige i provvedimenti in Regione, che non traducono in fatti sui territori, per mille motivi.
Il simbolo
L’ospedale della Sibaritide sarà, dunque, un simbolo ultramoderno. Sarà infatti il primo ospedale in Italia ad essere realizzato dopo la pandemia, quindi con tutte le normative nel frattempo intervenute, utili ad scongiurare un’altra pagina di storia del genere. Ma sarà anche un simbolo politico e sanitario, costato 300 milioni – dai 144 inizialmente preventivati – e da 376 posti letto.
Come accennato, però, alla consegna mancano ancora molti mesi. Le aree esterne sono ancora tutte da sistemare mentre gli interni, le degenze, le sale operatorie, le corsie, sono ben lungi dall’essere (ri)finiti.
Tra le tante sfide, la più importante da vincere sarà quella di rimpinguare l’ospedale della Sibaritide di figure sanitarie, perché quelle che vi confluiranno dal Compagna e dal Giannettasio non sono nemmeno sufficienti a gestire i circa 150 posti letto attivi a Rossano ed i circa 120 di Corigliano, quindi un centinaio in meno rispetto alle previsioni a Insiti. E con la carenza di medici in tutta Italia, senza grandi incentivi a venire a lavorare in Calabria, la sfida sarà improba.
Insomma, bene che vada ci vorrà la primavera del 2027 per concludere l’infrastruttura sanitaria, mentre la data di entrata in esercizio – il primo ricovero, il primo intervento, i primi punti di sutura al primo paziente che varcherà quella soglia – pare essere la più assoluta delle incognite.


