Si continua a parlare del collegamento con la Sicilia come fosse l'unica possibilità di sviluppo per il Sud, ma non è così. E i 13 miliardi in ballo potrebbero essere usati diversamente puntando su energia e data center
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C'è qualcosa di tragicamente simbolico nel fatto che per la Calabria, terra di partenze e di abbandoni, c’è qualcuno che continui a inseguire il sogno di un ponte fisico verso la Sicilia mentre il mondo costruisce ponti digitali verso il futuro. Tredici miliardi e mezzo di euro — questa la cifra approvata dal CIPESS nell'agosto 2025 per il Ponte sullo Stretto — potrebbero cambiare il destino di una regione intera. Ma non nel modo in cui ce lo raccontano, o almeno non solo in quello.
Il 29 ottobre scorso la Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità al progetto, contestando violazioni della direttiva europea Habitat e aumenti di costo non giustificati. Le 62 prescrizioni della Valutazione d'Impatto Ambientale restano in gran parte inevase. Lo Stretto di Messina è classificato come l'area a più elevato potenziale sismogenetico del Mediterraneo e la scoperta nel 2021 della faglia W-Fault nelle aree di costruzione ha intensificato le preoccupazioni degli esperti. Eppure si continua a parlare del ponte come fosse l'unica possibilità di sviluppo per il Sud. Non lo è. E forse non lo è mai stata.
Il digitale va più veloce delle merci su strada…
Nel frattempo, mentre noi discutiamo di piloni e campate, il mondo sta combattendo una battaglia ben più decisiva: quella per la sovranità dei dati. L'Europa dipende dai provider cloud americani per circa il settanta per cento del mercato. Ogni nostra email, ogni transazione bancaria, ogni cartella clinica transita su server controllati da multinazionali straniere, soggette a legislazioni che non tutelano i nostri diritti, la nostra sicurezza, la nostra stessa proprietà del dato. Il Data Act europeo, pienamente applicabile da settembre 2025, e l'iniziativa GAIA-X cercano di costruire un'alternativa, ma servono infrastrutture fisiche dove far risiedere questi dati. Servono data center, grandi, sicuri, connessi.
Ed è qui che la Calabria potrebbe giocare una partita completamente diversa.
La nostra regione possiede caratteristiche che la rendono sorprendentemente adatta a ospitare infrastrutture digitali di livello europeo. È una regione esportatrice netta di energia dal 1976: produce circa quindicimila gigawattora all'anno, di cui quasi quattromila da fonti rinnovabili, ed esporta due terzi di questa produzione verso altre regioni. Con oltre tremila megawatt di eolico offshore in fase autorizzativa, con progetti come quello di Plenitude al largo di Crotone o il parco MIO nel Mar Ionio, questo surplus è destinato a crescere significativamente.
I data center hanno fame di energia, molta energia. Ed è energia che noi già produciamo senza sapere come valorizzarla.
A soli trenta chilometri dalle coste calabresi, in Sicilia, approdano più di venti cavi sottomarini internazionali. Il Sicily Hub di Sparkle a Palermo connette diciotto cavi ed è considerato il punto di gravità del traffico internet mediterraneo. Progetti come Blue-Raman, realizzato con Google, collegano l'Italia all'India passando per Grecia, Israele e Arabia Saudita. La Calabria potrebbe diventare un punto di approdo alternativo e ridondante per questa rete, aumentando la resilienza dell'intera infrastruttura europea e con essa dell’infrastruttura che serve il Medio Oriente e la penisola indiana.
Una regione che ha una propensione naturale a diventare “data ready”
Ma c'è di più. Le aree montane della Sila, con temperature medie annue di sette-dieci gradi e estati che raramente superano i venti gradi in quota, offrono condizioni ideali per il raffreddamento naturale dei server, già, perché tenere al fresco le infrastrutture è la voce di costo più significativa nella gestione di un data center. In Norvegia, strutture come Lefdal Mine sfruttano ex miniere e temperature rigide per raggiungere efficienze energetiche straordinarie. I laghi artificiali della Sila, Cecita, Arvo, Ampollino, potrebbero fornire risorse idriche per sistemi di raffreddamento a ciclo chiuso e basso impatto ambientale.
Certo, resta il problema del rischio sismico: tutta la Calabria è classificata in Zona 1. Ma le tecnologie antisismiche moderne permettono costruzioni sicure anche in aree a elevata sismicità, come dimostrano i data center giapponesi. E un edificio di pochi piani, progettato con criteri antisismici avanzati, presenta profili di rischio incomparabilmente inferiori a un ponte sospeso di oltre tre chilometri nella zona più sismica del Mediterraneo.
L’idea non è di costruire dieci campus hyperscale con i soldi del ponte, sarebbe un esercizio di stile, retorico, iirrealistico e demagogico. Ma anche solo uno o due data center di medie dimensioni, accompagnati da una connessione sottomarina diretta che faccia della Calabria un punto di approdo alternativo alla Sicilia, cambierebbero radicalmente la traiettoria della regione. Microsoft ha investito quattro miliardi e trecento milioni in Italia, Amazon oltre un miliardo in Lombardia. In Puglia si progetta una "Data Center Valley", in Sicilia un mega data center da tre miliardi ha ottenuto l'interesse strategico nazionale. La Calabria, con le sue specificità energetiche e geografiche, potrebbe inserirsi in questo flusso di investimenti e diventare la connessione secondaria e il centro di storage, elaborazione e aggregazione dei dati delle PA italiane ed europee, un fine chiaro e strategico, cui oggi nessuno ha ancora pensato e definito.
Il vero ponte di cui abbiamo bisogno non attraversa tre chilometri di mare. È un ponte verso il mondo digitale, verso i mercati globali, verso un'economia della conoscenza che potrebbe finalmente trattenere i nostri giovani invece di spingerli altrove. Un ponte fatto di fibra ottica e server, di competenze e innovazione, di energia pulita e posizione strategica. Un ponte che forse potrebbe giustificare anche quello fisico, se la Calabria divenisse regione con infrastrutture digitali strategiche.
Gli investimenti si possono attrarre, con scelte futuribili e strategiche
I fondi sovrani del Golfo, da Doha ad Abu-Dabi, che gestiscono migliaia di miliardi di dollari e cercano infrastrutture sicure in Paesi stabili, guardano all'Europa con interesse crescente. Un hub dati calabrese, alimentato da rinnovabili e posizionato al centro del Mediterraneo, potrebbe attrarre capitali che oggi vanno altrove. Divenire un’opportunità d’investimento pubblico-privato capace di cambiare il volto della regione e dare quella forza realizzativa ai tanti studi, startup e imprese innovative delle nostre università. Oltre certamente, interessare colossi dell’ICT e della consulenza che oggi vivono di data center. Basti pensare alla corsa alle memorie, una vera e propria guerra mondiale, in cui colossi dell’AI, dell’elaborazione e dei servizi hanno saturato le linee produttive di tutti i maggiori player mondiali (Samsung, Hynix e Micron) per i prossimi 3 anni, pronti a comprare tutto il possibile per primeggiare, forse anche un data center calabrese che li posizioni in una nuova area strategica capace di intercettare e servire milioni di persone, di una tra le poche aree del mondo che vedrà la popolazione crescere nei prossimi 50 anni.
Tredici miliardi per un ponte che la Corte dei Conti ha bloccato e che sorgerebbe sulla faglia più pericolosa d'Italia. Oppure una frazione di quella cifra per un'infrastruttura che ci collegherebbe davvero al futuro.
Dateci il ponte. Ma datecelo verso il mondo.
*Esperto di Comunicazione Politica


