Una mamma tiene per mano il figlio di pochi anni, si avvicina all’agente penitenziario per l’identificazione e prende posto all’ombra, aspettando di poter entrare. Intorno, altre persone che, come lei, sono arrivate di buon’ora davanti al carcere di Cosenza per il colloquio con un familiare detenuto.

Visite ordinarie incrociano quella “straordinaria” voluta dalla Camera Penale “Fausto Gullo” che, ogni anno di questi tempi, varca l’imponente cancello scorrevole per verificare le condizioni di vita dei detenuti. La delegazione di avvocati del Foro bruzio si accomoda nella sala riunioni con le pareti dipinte di verde, al centro della quale campeggia un grande tavolo.

Il presidente della Camera Penale Roberto Le Pera si alza e chiede un minuto di silenzio per Danilo Rihai, il 17enne tunisino morto in ospedale dopo quarantotto ore di agonia: l’11 agosto scorso si era impiccato con i suoi jeans nella cella del centro di prima accoglienza del carcere minorile di Treviso. Essendo il decesso avvenuto al di fuori dell’istituto penitenziario, Danilo non viene conteggiato nella macabra lista dei suicidi stilata dal ministero della Giustizia: 150 negli ultimi venti mesi, 55 nei primi otto mesi del 2025.

«È uno Stato di diritto quello che consente una simile mattanza?», si chiede inorridito il presidente della Camera Penale di Cosenza Roberto Le Pera, incapace di comprendere (e giustificare) la colpevole assenza dei parlamentari calabresi invitati a unirsi alla visita organizzata all’interno del carcere di via Popilia: «Non si sono neanche degnati di rispondere, un atteggiamento che dimostra quale sia ormai il livello di democrazia nel nostro Paese».

Il direttore della Casa circondariale Maria Luisa Mendicino («ho interrotto le ferie per essere con voi stamattina») riceve tra le mani il questionario preparato dalla Camera Penale e si prepara al “fuoco di fila” delle domande. Il presidente Roberto Le Pera pone subito la questione del sovraffollamento e si sente rispondere che, a fronte di una capienza di 220 posti, il carcere di Cosenza ospita attualmente 276 detenuti. Una popolazione carceraria in eccesso, alla quale si contrappone la carenza del personale penitenziario: 131 agenti rispetto ai 169 previsti.

Nell’istituto di reclusione “Sergio Cosmai” di Cosenza - che ha adottato da tempo il “Piano prevenzione suicidi” - non si sono registrati nell’ultimo anno casi di suicidi e, così come riferito dal comandante della Polizia penitenziaria, i pochi atti di autolesionismo (tre), sono stati di natura dimostrativa.

La discussione si sposta sulla presenza tanto contestata dei pannelli di plexiglass, montati alle finestre delle celle e non ancora rimossi. Unica novità rispetto allo scorso anno, l’installazione di alcuni ventilatori per rendere l’aria almeno più respirabile.

Alla riunione partecipa il dottor Gabriele Scolati, responsabile sanitario dell’istituto penitenziario: «Il nostro carcere è l’unico in Calabria a vantare la presenza di uno psichiatra e tre psicologhe». Interviene il direttore Maria Luisa Mendicino: «Al momento contiamo quaranta detenuti psichiatrici, che oggettivamente non riusciamo a gestire. E non dovrebbero neppure stare qui».

La Camera Penale, nel corso della discussione, prende atto (suo malgrado) della violazione dell’articolo 14 dell’Ordinamento penitenziario che dispone la separazione dei detenuti indagati o imputati dai detenuti condannati: il sovraffollamento delle carceri impedisce nei fatti il rispetto della norma. Il presidente Roberto Le Pera scuote la testa, passa oltre e incassa un secondo diniego: «No, i detenuti al di sotto dei venticinque anni quasi mai dividono la cella con i propri coetanei».

A completare il “Cahier de Doléances” l’assenza della figura del mediatore culturale, il mancato rispetto della sentenza della Corte Costituzionale numero 10 del 2024, che prevede la realizzazione di spazi all’interno dei quali i detenuti possano esercitare il diritto fondamentale all’affettività e l’assenza di progetti per il reinserimento sociale e occupazionale delle persone detenute. Il direttore Maria Luisa Mendicino confessa con rammarico: «Ho più volte tentato di coinvolgere l’Università della Calabria, ma senza risultati concreti. L’unica esperienza positiva di cui posso parlarvi, è quella di due cittadini russi che, dopo aver lasciato il carcere, hanno trovato lavoro presso l’associazione “Casa Nostra” della diocesi di Cosenza».

Il componente della giunta dell’Unione delle Camere Penali italiane Valerio Murgano ascolta in religioso silenzio, per poi affondare il colpo: «Se dovessi essere arrestato e portato nel carcere di Cosenza, sarei custodito nel rispetto della mia dignità di persona, oppure sottoposto a trattamento inumano e degradante?». Il direttore Maria Luisa Mendicino con tono rassicurante: «Nessun detenuto all’interno di questo carcere è privato dei suoi diritti fondamentali».

Appassionato l’intervento del Garante regionale dei detenuti Giovanna Russo, che per sei mesi ha monitorato le dodici carceri calabresi: «È necessario puntare ad una ristrutturazione del sistema penitenziario regionale, per giungere ad una effettiva garanzia dei diritti delle persone detenute. Propongo l’istituzione di tavoli permanenti per la sanità e l’inserimento lavorativo dei detenuti che riacquistano la libertà».

E se il presidente dell’Ordine Claudio De Luca ammonisce che «la pena non può diventare una tortura», l’avvocato Emilio Greco auspica «la privatizzazione del sistema carcerario italiano». Franz Caruso prende la parola nella duplice veste di sindaco di Cosenza e rappresentante del Foro cosentino: «La mia amministrazione - rivendica con orgoglio - ha istituito per la prima volta la figura del Garante comunale dei detenuti. Spesso le misure cautelari vengono utilizzate come sconto di pena preventiva, fuori dai casi previsti dal codice penale (pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di reiterazione del reato, ndr). 

Tiziana Battafarano rappresenta la Provincia di Cosenza: «Dietro ogni persona detenuta c’è una famiglia. Anche se si trovano in carcere, madri e padri hanno il diritto di continuare ad esercitare il proprio ruolo genitoriale. Indipendentemente dai reati commessi, bisogna garantire il rispetto della persona umana e la sua riabilitazione sociale». 

La cronaca della visita della Camera Penale di Cosenza all’interno del Carcere di Cosenza termina qui. Come riferito in un nostro articolo di qualche giorno fa, il Dipartimento della Polizia penitenziaria non ha autorizzato l’ingresso dei giornalisti nei padiglioni dove si trovano le celle dei detenuti. Siamo comunque soddisfatti, perché avere (anche soltanto) partecipato al confronto tra gli avvocati e la direzione della Casa circondariale ci ha consentito di acquisire informazioni dirette sulle condizioni di vita carceraria, che presentano ancora troppe zone d’ombra.