Per sei mesi gli studenti stranieri iscritti all’ateneo non potranno più entrare negli Stati Uniti. Dietro la nuova offensiva contro l’élite culturale e i luoghi di potere intellettuale una miscela esplosiva di motivazioni politiche e ideologiche
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L’università di Harvard è di nuovo nel mirino. Con un provvedimento senza precedenti, l’amministrazione del presidente Donald Trump ha stabilito che, per sei mesi, gli studenti stranieri iscritti all’ateneo di Cambridge non potranno più entrare negli Stati Uniti. Non solo: il Dipartimento di Stato dovrà «valutare la revoca» dei visti già approvati per chi è già dentro i confini americani. Una misura che colpisce non solo migliaia di studenti, ma anche docenti, ricercatori, ospiti internazionali e persino turisti connessi in qualunque modo all’università più prestigiosa del Paese.
La decisione è solo l’ultima di una serie di azioni ostili da parte della Casa Bianca contro Harvard. Già a fine maggio, Trump aveva tentato di vietare all’ateneo di ospitare studenti e ricercatori stranieri, un’ordinanza poi sospesa da un tribunale federale. Contestualmente, il Dipartimento di Stato aveva dato disposizione alle ambasciate e ai consolati americani all’estero di rafforzare i controlli su chiunque chiedesse un visto per Harvard, per qualsiasi scopo: accademico, lavorativo, o anche solo turistico.
Dietro questa stretta si cela una miscela esplosiva di motivazioni politiche, ideologiche e simboliche. Formalmente, la Casa Bianca giustifica il provvedimento con la necessità di «combattere l’antisemitismo nei campus», accusando le università, e in particolare Harvard, di non aver contrastato con sufficiente fermezza gli episodi verificatisi durante le proteste contro la guerra nella Striscia di Gaza. Ma per molti osservatori si tratta solo di un pretesto.
Harvard è da decenni un simbolo dell’élite culturale americana, un luogo di potere intellettuale, ma anche di forti spinte progressiste e multiculturali. È proprio questo che la rende bersaglio ideale per la retorica trumpiana, incentrata sulla difesa dei «veri americani» contro le élite, contro l’immigrazione, contro le «deviazioni ideologiche» che — secondo la narrazione repubblicana — si anniderebbero nei campus universitari.
L’azione dell’amministrazione si inserisce in un contesto più ampio di contrapposizione con il mondo accademico. Negli ultimi mesi, le tensioni tra Casa Bianca e università si sono intensificate, soprattutto a seguito delle manifestazioni filo-palestinesi che hanno attraversato molti campus statunitensi, con accampamenti, scontri con la polizia e richieste di disinvestimento dalle aziende collegate a Israele. Harvard è stata tra le università più esposte e più criticate, anche per alcune dichiarazioni ambigue o tardive da parte della sua amministrazione.
La risposta dell’ateneo non si è fatta attendere. In un comunicato diffuso ieri sera, la direzione ha annunciato l’intenzione di opporsi formalmente al provvedimento, definendolo «una misura discriminatoria e dannosa che mette a rischio la libertà accademica, la collaborazione internazionale e la missione educativa dell’università».
La questione, intanto, rischia di trasformarsi in un nuovo caso giudiziario. Gruppi di studenti e associazioni per i diritti civili stanno valutando ricorsi legali, mentre diversi esponenti democratici hanno criticato duramente il provvedimento, definendolo un “abuso di potere a fini ideologici”.
Il messaggio politico, tuttavia, è chiaro: Trump vuole colpire il cuore pulsante di quell’America colta, cosmopolita e critica nei confronti del suo operato. Un’America che Harvard rappresenta più di qualunque altra istituzione. E che, in vista delle elezioni di midterm, può tornare utile come nemico simbolico per galvanizzare la propria base elettorale.
Ma a farne le spese, ancora una volta, rischiano di essere studenti, studiosi, e la reputazione internazionale degli Stati Uniti come faro della conoscenza e della libertà.