Rigettato il ricorso della Procura generale di Catanzaro anche per un imprenditore. Il verdetto arriva dopo un precedente annullamento con rinvio
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Confermate dalla sesta sezione penale della Cassazione le assoluzioni del boss di Nicotera Marina, Pantaleone Mancuso, 64 anni, detto Scarpuni, e di Riccardo Di Palma, 53 anni, di San Lupo (Bn), entrambi accusati di estorsione e illecita concorrenza con l’aggravante mafiosa nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Via col Vento” che mirava a far luce sull’ingerenza delle cosche nell’affare dell’eolico in Calabria. In primo grado Pantaleone Mancuso era stato condannato a 11 anni di reclusione, Riccardo Di Palma a 7 anni. In appello Pantaleone Mancuso era stato condannato a 9 anni, mentre Riccardo Di Palma aveva incassato l’assoluzione. Tale sentenza era stata però annullata con rinvio dalla Cassazione e nel nuovo processo di secondo grado si era registrata l’assoluzione di entrambi gli imputati per non aver commesso il fatto. Contro tale ultimo verdetto, la Procura generale di Catanzaro aveva presentato ricorso in Cassazione che l’ha ora dichiarato inammissibile confermando le assoluzioni.
I motivi del ricorso
La Procura generale di Catanzaro ha sostenuto che nelle conversazioni cui ha partecipato Di Palma Riccardo (difeso in Cassazione dagli avvocati Angelo Leone e Dario Vannetiello) si fa “menzione del meccanismo della sovrafatturazione, della spartizione dei lavori e della infiltrazione delle imprese mafiose, nonché del pagamento della guardiania e del prezzo dell’estorsione. In particolare, si insiste sul fatto che la società del ricorrente, formale aggiudicataria dell’opera, ha avuto un ruolo centrale nei fatti in quanto è rimasta estranea ai lavori, affidati alla ditta Ielapi per effetto delle minacce di Evalto”. Il secondo motivo deduceva i medesimi vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento all’assoluzione di Mancuso. In particolare, tra le numerose censure rispetto alle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, venivano segnalate le seguenti doglianze: il termine “ingegnere” o “geometra”, celava l’identità di Mancuso come si evince dalla conversazione del 28 giugno 12 in cui Antonio Di Palma conversava con “l’ingegnere” tramite l’utenza di Evalto la cui autovettura si trovava parcheggiata dinanzi all’abitazione di Mancuso. Evalto, inoltre, utilizzava la parola “LU”, che richiama “Luni”, diminutivo di Pantaleone Mancuso; quanto al legame tra Mancuso ed Evalto, la sentenza impugnata ha omesso di considerare che gli atti illeciti posti in essere da costoro per il controllo dei lavori di realizzazione del parco eolico di Cutro si erano svolti nel medesimo periodo di quelli relativi al parco eolico di Amaroni”.
La decisione della Cassazione
Per i giudici della Suprema Corte, il ricorso della Procura generale di Catanzaro avverso le assoluzioni è da ritenersi inammissibile “in quanto, in disparte la confusa e ridondante esposizione dei motivi, connotata dalla trascrizione di conversazioni di cui si propone una diversa alternativa lettura, contiene numerose considerazioni di merito, non facilmente comprensibili a causa della mancanza di una organizzazione logica degli argomenti che, di fatto, si limitano a esprimere un mero dissenso rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, senza, tuttavia, alcun confronto critico con la stessa”. Quanto a Pantaleone Mancuso (difeso dall’avvocato Francesco Calabrese), anche per la Cassazione si è dinanzi alla inidoneità delle due conversazioni intercettate il 28 giugno 2012 per fondare il suo giudizio di responsabilità mancando le “prove di un’interlocuzione diretta tra costui e i dirigenti della Nordex”. La Corte d’Appello di Catanzaro con una motivazione che per la Cassazione è “immune da vizi logici o giuridici” ha inoltre “escluso che dagli elementi probatori acquisiti possa desumersi un contributo dell’imputato Mancuso alla condotta estorsiva tenuta da Evalto anche per l’incertezza e, comunque, la non decisività della riferibilità a Mancuso dell’epiteto “ingegnere”, utilizzato in alcune conversazioni in cui compariva tale epiteto e che avevano ad oggetto proprio la materia degli appalti in cui è fisiologico il coinvolgimento di tale figura professionale”. Da qui l’inammissibilità dei ricorsi.
Da ricordare che per la stessa operazione “Via col vento”, il boss di Filadelfia Rocco Anello e l’imprenditore (anche lui di Filadelfia) Romeo Ielapi con altra sentenza sono stati condannati in via definitiva a 9 anni di reclusione a testa.