È Giuseppe Scornaienchi il nuovo capo della ‘ndrangheta di Cetraro? È lui il successore dello storico boss Franco Muto? È ancora troppo presto per dirlo. L’inchiesta che ieri ha portato all’arresto del 35enne noto con il soprannome di “Pino ’o confiett” e di altre sei persone non consegna certezze in termini di una loro appartenenza alla ’ndrangheta.

Di questo, almeno, è convinto il gip distrettuale Sara Merlini che, non a caso, ha riqualificato l’accusa principale che pende sugli indagati: non più associazione mafiosa, come intende la Dda di Catanzaro, bensì “semplice” associazione a delinquere.

Non c’è dubbio, secondo il giudice, che Scornaienchi sia a capo di una banda che, a partire dal 2021, si è resa responsabile di una serie di tentate estorsioni, furti e pestaggi; che lui e i suoi uomini fossero armati e adusi all’utilizzo di esplosivi e, buon ultimo, che ad alcuni di loro sia possibile attribuire una caratura mafiosa in piena regola. Tutto questo, secondo Sara Merlini, non è sufficiente per affermare che quel gruppo godesse di autonomia criminale e che fosse riconosciuto e legittimato dallo stesso clan Muto.

Il ragionamento che fa il gip è il seguente: Giuseppe Scornaienchi è figlio di Lido Franco Scornaienchi, il “cunfiett” originale, storico esponente della cosca cetrarese, attualmente detenuto. Anche Giuseppe ha ricevuto il battesimo di ‘ndrangheta e, in precedenza, è stato attivo nel campo delle rapine e dello spaccio di stupefacenti, ma al riguardo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Luciano Impieri, Giuseppe Montemurro e Roberto Presta si fermano al 2013.

E non solo. Risulta, infatti, che a un certo punto proprio Giuseppe Scornaienchi sia entrato in disaccordo con il clan Muto al punto da escluderlo dal novero dei suoi fornitori di sostanze stupefacenti. Se così è, dunque, una sua legittimazione dall’alto appare quantomeno improbabile.

Le intercettazioni raccolte nel corso delle indagini non hanno dissipato i dubbi, semmai li hanno alimentati. Dai dialoghi, infatti, non sono emersi «riferimenti a contesti più ampi di appartenenza ‘ndranghetista» né «a rapporti o contrasti con altri clan». Non si parla di ‘ndrangheta, insomma, e anche l’estrazione criminale di tutti i presunti associati, a parte tre, non rimanda in alcun modo a contesti di malavita.

Secondo il gip Sara Merlini, quindi, si tratta di persone «che agiscono indisturbate in un territorio notoriamente sottoposto a controllo ‘ndranghetistico», che certamente «godono del placet di organizzazioni mafiose oppure operano per conto di quest’ultime», ma non v’è certezza che Giuseppe Scornaienchi abbia formato «una propria e autonoma associazione mafiosa».