Angoscia e gioia

La rivincita di Mimmo Lucano: «È la fine di un incubo, ora la Rai mandi in onda la fiction su Riace»

VIDEO | Cronaca della giornata dell’ex sindaco del piccolo centro della Locride in attesa della sentenza d’Appello che ha ridotto la pena da 13 anni a 1 e 6 mesi: «Sono stato calpestato anche politicamente, ma qui si faceva accoglienza vera». Gli avvocati: «È stato riconosciuto che ha fatto tutto per il bene dell'umanità»

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di Vincenzo Imperitura
11 ottobre 2023
19:25

«Quindi è oggi? Allora ti aspetto più tardi da me, laprimu na buttighjia e festeggiamu». Ci vuole l’ottimismo di Antonio, 85 anni passati da un pezzo, faccia omerica cotta dal sole e bastone d’ordinanza in mano, per stemperare la tensione dell’attesa. Mimmo Lucano non era a Reggio stamattina. Circondato dagli amici più fidati, ha atteso la sentenza nella sua Riace, nella piazza di quel “villaggio globale” diventato negli anni il cuore pulsante del progetto che ha fatto di questo minuscolo paese a sud del sud d'Italia il manifesto di un altro modo di intendere le migrazioni.

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Una mattina sul filo della tensione quella trascorsa dall’ex sindaco tra le case ormai semi deserte del paese vecchio. Lontani i giorni in cui le viuzze del centro collinare erano vive di gente proveniente da mezzo pianeta, in paese sono rimasti in pochi che, a piccoli gruppi, si avvicinano all’ex sindaco per informarsi sulla situazione. «Mi sento in colpa anche per gli altri - racconta Lucano riferendosi ai collaboratori dell’utopia Riace finiti alla sbarra assieme a lui - anche il loro destino e legato al mio e a quello che Riace ha significato. Perché mi sembra evidente che alla sbarra ci sia finito tutto il modello Riace». Ci vogliono sette ore di camera di consiglio per riformare radicalmente la sentenza di primo grado che aveva smontato l’idea stessa del progetto d’accoglienza. 


«Ma pena sospesa che significa?». Lucano ha appena ascoltato dai suoi legali, al telefono, il sostanziale ribaltamento della sentenza di primo grado e fatica a trattenere l’emozione. C’è voluto l’abbraccio degli abitanti del suo paese - quasi tutti gli imputati del processo Xenia risiedono nel piccolo centro jonico - per farlo tornare alla realtà. Una realtà che fino alle 17 di mercoledì diceva 13 anni e rotti di condanna con annessa morte definitiva del progetto Riace e che ora, dopo la lettura del dispositivo, rimette tutto in gioco. «Questo processo non riguardava solo me e gli altri imputati – dice -. Sostanzialmente alla sbarra c’era finito Riace e il suo modo alternativo di intendere accoglienza e integrazione. La sentenza di oggi ribalta tutto».

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È un fiume in piena l’ex sindaco diventato suo malgrado una bandiera da sventolare o da strappare. «È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto tanto, umiliato, offeso - rimarca -. È la fine di incubo che per anni, ingiustamente, mi ha reso agli occhi della gente un delinquente. Sono stato attaccato, denigrato e accusato, anche a livello politico e non solo, quindi, giudiziario, per distruggere il 'modello Riace', la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria. A questo punto spero che pure la Rai si ricreda e mandi in onda la famosa fiction girata con Fiorello a Riace».

Lucano non dimentica i suoi legali a cui rivolge «un grande grazie». «Il compianto Antonio Mazzone, Pisapia e Daqua, non miei legali ma miei fratelli, uomini e professionisti che hanno capito sin da subito di avere di fronte un innocente», dice. E conclude: «Essendo anche io un comune e mortale essere umano è probabile che in questa vicenda abbia commesso degli errori ma di un aspetto, in particolare, sono sicuro, molto sicuro e convinto: ho sempre agito con l'obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all'accoglienza e all'integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».

Il commento degli avvocati Daqua e Pisapia

«Oggi è una bella pagina per la giustizia italiana». Ha commentato così l'avvocato Andrea Daqua la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria. «È stata una bella vittoria - ha aggiunto uno dei legali di Lucano - una soddisfazione per lui perché non abbiamo mai dubitato della sua innocenza, della sua onestà morale e intellettuale. La pena è stata ridotta così tanto - ha concluso Daqua - perché siamo stati in grado di dimostrare l'abnormità del giudizio di primo grado. Gli errori e le valutazioni scorrette erano evidenti. La Corte d'Appello ha saputo prenderne atto. L'associazione a delinquere è caduta perché non è mai esistita. È caduto tutto il castello accusatorio. È finito 'l'accanimento non terapeutico' a cui è stato sottoposto Lucano».

Per l'altro avvocato di Lucano, Giuliano Pisapia, «un anno e sei mesi con pena sospesa è una stupidaggine. L'importante è che è stato riconosciuto che Mimmo Lucano ha fatto tutto per il bene dell'umanità, per il bene di chi ha bisogno. Non ha fatto nulla per sé stesso. Poi piccoli errori ognuno li può fare. Quello che è importante è che Lucano è stato considerato dalla Corte d'Appello come uno che ha sempre lavorato per gli altri, mai per sé stesso». 

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