Inchiesta Meltemi

Le estorsioni dei Pugliese ai villaggi di Isola e il consiglio per entrare gratis nel camping: «Tu digli che sei figlia di Francesco Arena»

La guardiania imposta per 30 anni alle abitazioni private. Le minacce della cosca all’istituto di vigilanza e il coraggio di due donne che hanno «rimosso il velo di omertà»

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di Alessia Truzzolillo
14 dicembre 2023
06:30
Località Marinella (foto d’archivio)
Località Marinella (foto d’archivio)

«Digli che ti manda Zio Pasquale! Zio Pasquale Arena! Digli così. Se ti fermano e ti chiede a chi sei figlia, tu non dirgli di Maurizio ... digli a Francesco! A Francesco Arena! Hai capito? Se chiede chi ti manda, tu digli Zio Pasquale! Quello che ha la vigna qua sopra! Hai capito Pasquale, quello che fa per il vino! E gliel'accolli a lui!». Così Maurizio Pugliese istruiva la figlia per consentirle l’accesso in un camping di località Marinella a Isola Capo Rizzuto. Tra le accuse che la Dda di Catanzaro contesta alla cosca Pugliese, detti “Macario”, ci sono due tentativi di estorsione a due strutture turistiche. Gli episodi risalgono ad agosto 2019 ma secondo la Distrettuale antimafia i Pugliese, nella faida per il controllo del territorio intrapresa contro i Capicchiano, hanno preso di mira anche i camping fin dagli anni Novanta.

Tutta località Marinella, in realtà, sarebbe stata controllata dai “Macario”: dall’imposizione del servizio di guardiania, preteso anche alle case dei privati, al servizio di fornitura di acqua della zona. «I loro intendimenti erano sempre colorati da atti intimidatori di danneggiamento, come quelli, negli anni 1990 e 1991, ai campeggi all'epoca presenti a Marinella», è scritto nei brogliacci dell’inchiesta. Nell’agosto del 2019 i Pugliese pretendevano di entrare gratuitamente, in gruppi ben nutriti, nelle strutture turistiche.


Anche Giuseppina Giordano, moglie di Maurizio Pugliese, aveva litigato a lungo pur di entrare gratis nel camping con piscina in compagnia di altre 4/5 donne. E anche lei aveva speso il nome degli Arena, affermando che «tra le ragazze che conduceva con sé, vi era "la moglie di Francesco Arena" ». Il gestore del camping «si è intimidito a tal punto da consentire solo a tale ragazza consorte di Arena l'ingresso; le altre donne non hanno gradito l'esclusione e ne è nato un forte alterco, all'esito del quale tutte si sono allontanate».

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Chi denuncia e chi nega

Mentre il gestore del primo camping conferma quanto accaduto nella sua struttura, altri negano. Sono le indagini della polizia giudiziaria – scrive il gip – a permettere di «colmare il muro di omertà». Tanto più che le presunte vittime già negli anni Novanta avevano subito una brutale aggressione, conseguenza collaterale della guerra tra i Capicchiano e i Pugliese.

Il camping, infatti, si riforniva di acqua dai Capicchiano. Quando il figlio del gestore venne aggredito, nel 1991, «da tre ignoti che gli intimavano di rifornirsi da loro per l'acqua nella struttura, i sospetti cadono proprio sui Pugliese», tuttavia «l'aggredito aveva reso dichiarazioni del tutto vaghe e inconcludenti e di fatto omertose, impedendo il compiuto accertamento dei fatti».

La guardiania imposta alle abitazioni private

Località Marinella è una zona turistica. Secondo le indagini coordinate dai sostituti della Dda di Catanzaro, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, le cosche «sin dagli anni 90 hanno agito in maniera criminale nel territorio indicato soggiogando gli abitanti dell’area» tanto da imporre un servizio di guardiania abusiva, in cambio di denaro, per tutte quelle abitazioni che d’inverno rimanevano disabitate. Il refrain era sempre lo stesso: la raccolta di denaro da destinare al sostentamento dei detenuti. Per 30 anni tutti avevano tutti avevano corrisposto in due tranches annuali le somme richieste per avere in sicurezza i loro immobili. Una sicurezza precaria visto che i danni alle case non sono mancati. Alcuni proprietari decidono allora di rivolgersi a un vero istituto di vigilanza privato che diventa, a sua volta, vittima delle intimidazioni dei Pugliese «che si rivolgono agli interessati per "lamentarsi" dello sgarro subito». 

Le minacce all’istituto di vigilanza

Ma il paradosso avviene a luglio 2019, quando una coppia presenta una denuncia contro ignoti per fatti di invasione di edifici e furto nel loro immobile. A distanza di pochi giorni Vincenzo Pugliese, figlio del capo ‘ndrina Maurizio Pugliese, presenta la stessa denuncia per lo stesso immobile. «È evidente – scrive il gip – l’anomalia di due soggetti che si dichiarano proprietari dello stesso immobile denunciando ignoti di aver perpetrato danni e furti nel bene».
Tutti mostrano paura nei confronti dell’atteggiamento aggressivo dei Pugliese, anche il titolare dell’istituto di vigilanza che racconta tutto ai carabinieri – ovvero di due episodi in cui era stato avvicinato da due soggetti che gli avevano esternato delle minacce – ma rifiuta sottoscrivere il verbale delle sue dichiarazioni.

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Il coraggio di due donne

Sono state due donne a «rimuovere il velo, se non muro, di omertà che a conti fatti ha consentito ai Pugliese ai loro sodali di attuare e concretizzare per circa 30 anni quel quel metodo mafioso fatto da estorsioni ed intimidazioni - non esitando di passare alle vie di fatto anche a danni di coloro che comunque sottostavano alle loro richieste illecite - che ha imperato nella zona di Marinella. Non è mancata la paura, tanto che una delle denuncianti ha chiesto di essere ascoltata lontano dalla caserma della zona, dove il suo gesto sarebbe stato notato, ma più lontano per potersi tutelare. La prima denunciante racconta che lei e il marito nel 1982 «hanno acquistato un terreno nella località Marinella; già in quella sede il cedente li aveva avvisati della presenza di persone "che guardavano le case in cambio di denaro"; un servizio che la coppia sulle prime accetta ed anzi accoglie di buon grado, ritenendo opportuno che la zona isolata fosse sottoposta a controllo». Pagavano 200mila lire due volte all’anno che venivano riscosse da Maurizio Pugliese e dal fratello Michele quando il primo era detenuto.

Una cifra che andava aumentando nel tempo nonostante i furti e i danni che l’immobile subiva. La signora si convince che i danni fossero opera dei Pugliese, un modo «per convincere la donna che i rischi di subire furti erano concreti». Nel 1996 la signora cerca di ribellarsi e chiede l’intervento dei carabinieri nell’occasione in cui avrebbe dovuto dare i soldi richiesti a due ragazzi che si presentarono come emissari di Michele Pugliese. I ragazzi vengono arrestati ma la donna viene avvicinata dal nonno dei due «affinché ritirasse le accuse e la donna, impaurita da tale intervento, aveva acconsentito, così che i ragazzi furono scarcerati».
Inutile anche rivolgersi all’istituto di vigilanza. Per liberarsi di 30 anni di estorsioni è stato necessario il coraggio di due donne.

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