Processo Imponimento

Nei villaggi turistici comandava la ’Ndrangheta: per la Dda c’era un «patto di cooperazione» tra gli Stillitani e le cosche

Continua la requisitoria del pm De Bernardo. Il racconto delle minacce di Rocco Anello («La fucilata ti arriva prima da Filadelfia che da Limbadi») e il potere in mano ai guardiani dei resort scelti dai clan: «Le divise non le mettiamo. Le usano le forze dell’ordine»

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di Alessia Truzzolillo
22 aprile 2024
18:43
Il resort di Pizzo e, nel riquadro, Francescantonio Stillitani
Il resort di Pizzo e, nel riquadro, Francescantonio Stillitani

Lo definisce un «patto di cooperazione» quello tra gli imprenditori di Pizzo Emanuele e Francescantonio Stillitani e le cosche di riferimento. Di più, nel corso della requisitoria del processo Imponimento, istruito dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Anello-Fruci e i suoi sodali, il pubblico ministero Antonio De Bernardo ritiene che la «contestazione di concorso esterno per gli Stillitani è stata troppo prudente». Spiega, nel corso della sua lunghissima requisitoria come si fosse creato tra gli imprenditori e la ‘ndrangheta quello che in gergo tecnico viene definito un rapporto sinallagmatico. In una parola un rapporto di reciproco vantaggio: «Ha un problema Stillitani si rivolge alla cosca, ha un problema la cosca si rivolge a Stillitani». E chi si mette in mezzo, citando Manzoni, è un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.

Vasi di coccio e vasi di ferro

I villaggi turistici degli Stillitani diventano affare per le cosche, così come la campagna elettorale per l'ex assessore regionale Francescantonio Stillitani diventa incombenza delle cosche e altrettanto tutti coloro che si mettono in mezzo agli interessi degli imprenditori. Come è il caso di Michele Marcello e di sua figlia, due persone che il pm non esita a definire «fiaccate dai maltrattamenti subiti». Due vasi di coccio che hanno testimoniato al processo con voce rotta e gli occhi ancora segnati dalle traversie. Due imprenditori che avevano il desiderio di creare un lido, un chiosco sulla spiaggia ma hanno avuto la sventura di piazzarlo andando a intralciare – è la tesi accusatoria – le attività del villaggio di Pizzo.


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Pizzo e Maierato terra di conquista

Pizzo e Maierato erano terra di conquista tra Mancuso e Cracolici. Uccisi i Cracolici i Mancuso si riprendono il loro potere. Rocco Anello soffriva che i Mancuso fossero arrivati fino a Pizzo da Limbadi e certamente non poteva accettare una situazione analoga nel villaggio turistico di Acconia, non certo dentro casa sua.

«I guardiani si riconoscono prima come uomini delle cosche che dipendenti dei villaggi»

I guardiani dei villaggi, dice De Bernardo, «si conoscono e si riconoscono. Si conoscono come guardiani delle cosche prima ancora che come guardiani del villaggio». Dice il collaboratore Comito: «Come Rocco Anello guardava il villaggio di Acconia, Accorinti guardava quello di Pizzo. Noi eravamo espressione di Accorinti e loro erano espressione di Rocco Anello».
Comito individua Saverio Prostamo, Giuseppe Comito e Muggeri come i coloro che avevano più potere nel villaggio di Pizzo.

Rocco Anello a Stillitani: «La fucilata ti arriva prima da Filadelfia che da Limbadi»

Quando Rocco Anello esce dal carcere fissa un incontro con Francescantonio Stillitani al quale porta anche Vincenzino Fruci.
In seguito il collaboratore Michienzi racconterà questo incontro che gli riferisce Fruci: «Ho la pelle d’oca dice Fruci. Perché Stillitani ci ha accolto in modo educato, ci ha teso la mano, e Rocco Anello ha cominciato a minacciarlo dicendogli “io sono venuto qua per cose serie, ti devi affidare a noi per il villaggio turistico, ci dai 100 milioni all’anno, le imprese che devono lavorare le decido io sennò stai attento che una fucilata ti arriva prima da là sopra (da Filadelfia) che da là sotto (da Limbadi)”».
«Il messaggio – sottolinea il pm – è sì rivolto a Stillitani ma non solo e non tanto a lui quanto ai suoi protettori, cioè i Mancuso».
Questo episodio determinerà una successiva interlocuzione tra Rocco Anello e Mancuso.

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«Nessuna divisa, non siamo forze dell’ordine»

Ad un certo punto il collaboratore Francesco Michienzi racconta che gli avevano imposto di mettere delle divise da custode. All’inizio promettono che non sarebbe stata proprio una divisa ma una camicia hawaiana. «Noi abbiamo rifiutato – dice Michienzi – perché le divise le portano le forze dell’ordine. Noi non vogliamo divise addosso, vogliamo vestirci come siamo e alla fine l’abbiamo spuntata grazie all’avvocato (Francescantonio Stillitani, ndr)». L’episodio avviene nel 2005.

Anche Emanuele Stillitani sa che non sarà facile fare indossare le divise. «Una cosa apparentemente banale – dice il pm – che già ci dà l’idea del fatto che nel villaggio comandano i guardiani. O, quantomeno, che i guardiani sono su un piano paritario rispetto alla proprietà, rispetto al gestore del villaggio. Possono scegliere e dire “io la divisa non me la metto perché non voglio avere nulla in comune con le forze dell’ordine”».
Anche Emanuele Stillitani prova a convincerli ma nulla da fare, chiama il fratello ma la spuntano lo stesso i guardiani. Nel 2019 il ricordo di Emanuele Stillitani è che «loro le divise non se le vogliono mettere. Non vogliono essere etichettati».
«Come ce lo spieghiamo questo - dice il pm - se non con la conclusione che Michienzi dice la verità?».

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