Cattive vibrazioni. Sono quelle che attraversano Giuseppe Gaetani il 3 gennaio del 2018. Il falegname di Cassano allo Ionio ancora non sa che gli restano da vivere poco meno di due anni, ma in quel momento, non teme nulla per sé; le sue preoccupazioni sono tutte per l’uomo con cui è solito accompagnarsi: il boss Leonardo Portoraro.

«Devi stare attento tu!». La cimice piazzata dai carabinieri nell’auto di Gaetani fa il proprio dovere e cattura il consiglio-avvertimento che l’autista dispensa allo «Zio Narduzzo». Da più di un anno, ormai, sulla Sibaritide soffia il vento di un nuovo ordine criminale imposto dalle famiglie Abbruzzese e Forastefano, un tempo nemiche giurate e oggi unite in nome degli affari. È stato proprio Portoraro a favorire quell’alleanza, o come dice lui, a far «apparare» gli zingari e gli “italiani”.

C’è stato un tempo in cui lui, Portoraro, guidava gli eserciti fedeli a Giuseppe Cirillo nel sanguinoso scontro fratricida con i ribelli di Santo Carelli, ma gli anni della clava sono ormai lontani, ora è necessario colpire di fioretto.

Zio Narduzzo sa che quella da lui benedetta è un’alleanza molto fragile, fragilissima: gli Abbruzzese da una parte, i Forastefano dall’altra e lui nel mezzo come un padre nobile o un arbitro della pace. Per continuare a comandare, la strategia è questa. In quel principio di 2018, però, le cose non vanno secondo le sue aspettative. Gaetani con la criminalità non c’entra, ma ha buone fonti e soprattutto orecchie molto tese. Percepisce un pericolo e cerca di mettere in guardia il vecchio padrino. «Devi stare attento tu!».

Portoraro sente che la situazione gli è sfuggita di mano; che, in barba a ogni pronostico, zingari e italiani sembrano aver trovato una sintonia tale da rendere la sua presenza quasi superflua. La forma continua a essere impeccabile: a ogni festa comandata, gli arriva in dono un cesto di prodotti tipici (la Dda sospetta ci siano dentro anche dei soldi), ma per uno come lui tutto questo non può bastare.

Ce l’ha soprattutto con i discendenti degli “italiani”, già suoi alleati trent’anni prima nella guerra contro Carelli. «Traditori» li chiama, ma ancora s’illude che, prima o poi, il gruppo si sgretoli, e che antichi rancori e odi atavici abbiano il sopravvento sull’amicizia. «Facessero quello che vogliono, ma stessero alla larga. Che tanto vita lunga non ne tengono».

In quel momento, però, il fido Gaetani si preoccupa proprio per la sua di vita. «Devi stare attento tu» suona come un presagio, un presagio di morte. Il boss non sembra avere le idee chiarissime al riguardo. Prima mostra qualche rimpianto: «Io ho sbagliato, me ne sarei stato al Nord e stavo con i cazzi ora! Dovevo scendere ogni tanto…»; poi formula una strategia nel segno dell’attendismo: «Lasciali pascere, lasciali pascere»; ma c’è un’ombra, sempre più cupa, che oramai avvolge i suoi pensieri. I carabinieri prendono nota del silenzio che, per un attimo avvolge l’abitacolo. Una pausa significativa, interrotta da un’esternazione di Portoraro: «Chi devono venire, gli zingari? Venissero! Però non devono sbagliare…».

Ancora oggi non sappiamo chi c’era a bordo dell’Audi A3 che sei mesi dopo, il 6 giugno del 2018, si ferma davanti a un bar di Villapiana Lido. Sappiamo però che dall’abitacolo scendono uno specialista del mitra e uno della pistola. Seduto a uno dei tavolini di quel bar c’è Leonardo Portoraro. Contro di lui vengono esplosi 35 proiettili, tutti a segno tranne uno. Chiunque fosse su quell’auto, non ha sbagliato.