Rinascita Scott, l’esordio del pentito Mantella al maxiprocesso: dalla prima estorsione a 13 anni agli omicidi

Nell'aula bunker di Lamezia il collaboratore di giustizia racconta la sua ascesa nel clan Lo Bianco, la faida con i Fiarè-Gasparro e la punizione per i gay e per chi tradiva il marito

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di Giuseppe Baglivo
22 aprile 2021
16:00
Nel riquadro, Andrea Mantella
Nel riquadro, Andrea Mantella

Esordio di Andrea Mantella, principale collaboratore di giustizia dell’inchiesta Rinascita Scott, nel maxiprocesso in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Un “fiume in piena” per un esame condotto meticolosamente dal pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, che ha permesso di tracciare una prima panoramica generale sull’enorme spaccato criminale che il collaboratore è chiamato a raccontare collegato in video-conferenza da una località protetta.


«Collaboro dal 17 maggio 2016 quando mi mancava solo un mese per essere scarcerato dopo aver scontato le condanne per Nuova Alba e Goodfellas. Ero detenuto dal 2011 per associazione mafiosa e sono stato arrestato dentro l’ospedale di Tropea dove mi trovavo ricoverato per false patologie e dove avevo a disposizione il dottore Tripodi, parente dei Piromalli. Sono stato arrestato dai poliziotti – ha raccontato Mantella – e poi associato in diversi istituti di pena come Vibo, Spoleto, Livorno, Torino. Nel corso della mia detenzione, nel 2012 è stato ucciso Francesco Scrugli e io qualora fossi tornato in libertà sentivo l’obbligo morale di vendicarlo. È stato un bene per tutti che io mi sia pentito. Con Francesco Scrugli c’era una fratellanza criminale e con lui ho condiviso l’adolescenza e diverse condanne, era ilo mio braccio-destro».

Quindi il racconto dei primi reati, commessi da Mantella dall’età di 13 anni. «Da una cabina telefonica ho chiamato Pino Lo Schiavo, proprietario all’epoca del negozio di abbigliamento a Vibo chiamato Temptation. Gli ho chiesto trenta milioni di lire dicendogli che altrimenti gli avrei fatto saltare in aria il negozio. Questa vicenda uscì pure su Cronaca Vera e arrivò all’orecchio di Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, che diventerà il mio capo».

Dopo tale episodio – siamo a metà anni ’80 – per Andrea Mantella inizia un’escalation criminale senza freni: accoltellamenti, tentati omicidi, una sparatoria al campo sportivo nel corso di una partita della Vibonese Calcio e poi gli spari ad un commerciante. «Non ho però mai commesso reati volgari – ha sottolineato il collaboratore – come quelli di natura sessuale o scippi ai vecchietti». In un’occasione, tuttavia, Andrea Mantella venne mandato a sparare alla vagina di una nipote di Carmelo Lo Bianco che tradiva il marito. «Ho accompagnato io – ha riferito il collaboratore – mio cugino Filippo Gangitano a sparare a questa nipote di Lo Bianco. In seguito abbiamo dovuto uccidere lo stesso Filippo Gangitano in quanto era gay».

Quindi la sparatoria a Vibo Valentia nei confronti «di Mazzoleni, figlio dell’allora proprietario dell’Olivetti a Vibo che non voleva pagare l’estorsione. Contro Mazzoleni spariamo io, Furlano e Scrugli. Dopo tale sparatoria, Mazzoleni pagò poi l’estorsione per 40 milioni di lire a Carmelo Lo Bianco, Filippo Catania e Paolino Lo Bianco ed Enzo Barba attraverso Antonio Mancuso».

La faida con i clan di San Gregorio

Negli anni ’80 il clan Lo Bianco di Vibo Valentia entra in faida con il clan Fiarè-Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona. Tutto, secondo Andrea Mantella, ha inizio con la falsa notizia del furto di bestiame ai danni di Pasquale Franzè, detto U Tarra, nipote di Francesco Fortuna, detto “Ciccio Pomodoro”, quest’ultimo indicato come esponente di spicco del clan Lo Bianco. «Pasquale Franzè raccontò a Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro, che Giuseppe Gasparro di San Gregorio d’Ippona, all’epoca amico dello stesso Fortuna – ha raccontato Mantella – gli aveva rubato delle vacche. Francesco Fortuna era un azionista del clan Lo Bianco, il braccio-armato, era temutissimo e si recò subito a San Gregorio d’Ippona per affrontare in piazza Giuseppe Gasparro. Ne è nata una discussione e Francesco Fortuna sparò uccidendo Giuseppe Gasparro, detto Pinu u Gattu, ferendo anche il nipote Saverio Razionale. Quale risposta dei sangregoresi si registra così l’omicidio di Domenico Lo Bianco, fratello di mia madre Rita Lo Bianco, l’omicidio di Antonio Galati, l’omicidio del padre di Antonio Lo Bianco ad opera dei Fiarè ed il ferimento dello stesso Antonio Lo Bianco. Tutti i vibonesi dei Lo Bianco residenti a San Gregorio furono costretti ad abbandonare il paese ed a ritornarsene a Vibo. Ricordo che mia mamma – ha riferito Mantella – per l’omicidio di suo fratello Domenico aveva reso dichiarazioni accusatorie ai carabinieri e all’autorità giudiziaria contro i Gasparro di San Gregorio d’Ippona. I Lo Bianco indussero però mia madre a ritrattare tutto e in particolare è stato Nazzareno Lo Bianco, detto Giacchetta, a convincere mia madre a non collaborare con gli investigatori».

«Da quel momento, Carmelo Lo Bianco si sottomise ad Antonio Mancuso e ricordo – ha aggiunto Mantella – che la moglie del Lo Bianco ucciso, vedendo Carmelo Lo Bianco in strada gli sputò in faccia per non essere stato in grado di vendicare la famiglia e per essersi alleato dopo la faida coi Mancuso e con i Fiarè. Enzo Barba, invece, si sottomise a Peppe Mancuso che gli puntò una pistola in faccia facendolo scendere a San Gregorio d’Ippona chiamato da Gregorio Giofrè. Enzo Barba si è salvato sol perché prima di scendere ha avvertito la sorella che stava andando a San Gregorio ad incontrare Peppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja. Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro, dopo aver commesso l’omicidio di Giuseppe Gasparro, è stato invece tranquillizzato da Cecè Mammoliti di Oppido Mamertina sul fatto che non gli sarebbe successo niente. Era un inganno – ha aggiunto Mantella – poiché nel 1988 Fortuna è caduto in una trappola ed a Pizzo è stato ucciso dai lametini su mandato di Rosario Fiarè e Saverio Razionale».  

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Giornalista
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