Al Premio letterario il confronto tra legalità, identità e sviluppo con il procuratore di Crotone, l’arcivescovo Torriani, lo scultore Affidato e lo scrittore e vaticanista Roncalli. Il presule racconta lo shock culturale: «Nessuno si lamentava dei problemi, per cambiare dobbiamo reagire insieme»
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Nell'ambito della 14esima edizione del Premio Caccuri, tra i più prestigiosi festival culturali del Mezzogiorno, il talk dedicato alle prospettive della provincia di Crotone, ha acceso i riflettori su i problemi della Calabria che «non si fondano solo sulla ’ndrangheta ma anche sull’inefficienza della macchina pubblica». Parola del procuratore di Crotone, Domenico Guarascio, il più giovane d’Italia, ma con alle spalle un decennio di esperienza nella Dda di Catanzaro dove si è occupato proprio del territorio di Crotone e provincia. Incalzato dai giornalisti Vittoriana Abate e Savino Zaba, Guarascio non ha fatto sconti a nessuno: «La ’ndrangheta nel Crotonese è diventata imprenditrice. Non spara più, ma decide i tassi d’interesse. È invisibile, ma continua ad annientare l’economia reale con estorsioni e danneggiamenti ancora gravi».
Tuttavia, il magistrato non ha nascosto i segnali di speranza: «C’è una sete di giustizia enorme. Le persone vengono da me, vogliono parlare, raccontare. Ma per dare risposte serve credibilità. E serve un sistema che funzioni». Poi l’affondo: «Invece di inseguire polemiche sterili tra magistratura e politica, si cominci a parlare dei problemi veri: pochi agenti, pochi pm, risorse insufficienti».
Al suo fianco, monsignor Alberto Torriani, arcivescovo di Crotone-Santa Severina, arrivato da Milano con occhi nuovi, ha raccontato il suo “shock culturale”: «Appena giunto, ho trovato una porta automatica rotta. Ma ciò che mi ha colpito di più è stata l’indifferenza: nessuno diceva nulla. Come se fosse normale. Questa è la velocità diversa con cui viaggia questo territorio. Ma il cambiamento può partire solo se impariamo a reagire, insieme».
La parola è poi passata al giovane orafo e scultore Antonio Affidato, che ha portato l’esperienza di un’eccellenza artigiana locale capace di esportare in tutto il mondo. Dietro le sue opere c’è «una riscoperta dell’identità», ha detto, ma anche la frustrazione per politiche che «non valorizzano i territori, soprattutto le aree interne». Più duro Marco Roncalli, scrittore e vaticanista, che ha parlato senza mezzi termini: «Quelle norme per le aree interne sembrano un accompagnamento alla morte. Serve una visione diversa, che parta dalla “restanza” e dalla consapevolezza del valore dei nostri borghi». Il talk si è trasformato in un appello collettivo. Non solo contro la criminalità organizzata, ma contro la rassegnazione. La stessa che in Calabria spesso diventa la peggior complice del degrado. Perché – come ha detto lo stesso Guarascio – «la vera partita si gioca nel dialogo tra Stato e cittadini. Solo così, questa terra può tornare a correre alla stessa velocità degli altri».