Riccardo Falcinelli pubblica un nuovo saggio; dopo i best seller “Cromorama” e “Figure”, esce per Einaudi Visus. Storie del volto dall’antichità al selfie” che scandaglia le espressioni del viso e racconta com’è cambiata la rappresentazione del volto nel corso dei secoli. C’è una canzone di Lucio Battisti, l’ultima, composta nel 1994, che ha un titolo curioso: “La voce del viso”. L’autore del testo è un poeta, Pasquale Panella. I testi di Panella sono scrigni polisemici, ma quasi sempre scavando si riesce a percepirne il senso che appare infine incredibilmente chiaro. “La voce del viso” racconta il non detto delle nostre espressioni facciali, dove la parola fa da corollario ad un campionario di gesti, che da soli raccontano la nostra anima e condizionano le nostre emozioni.

Leggendo “Visus” il recente libro di Riccardo Falcinelli mi sono trovato nelle condizioni di poter dare una spiegazione precisa alle velate supposizioni del duo Battisti/Panella. “Visus” è un saggio, che si legge però come un racconto. L’esattezza delle informazioni che vi si trovano all’interno si spiega con il fatto che Riccardo Falcinelli è il più importante graphic designer d’Italia, che si è laureato in letteratura italiana con una tesi sul romanzo visivo, che ha curato il design di libri e collane per le più grandi case editrici italiane. Mi sono addentrato quindi nel saggio con la famosa fiaccola dell’esploratore, convinto che un tesoro sicuramente l’avrei trovato.

Il racconto parte con una confessione. Falcinelli ci dice che lui riusciva a riconoscere, in foto, sua madre da sua zia. Donne che erano però gemelle e indistinguibili. La spiegazione è che le cose che noi guardiamo, raffrontate con ciò che il nostro cervello elabora, non collimano per nulla. Esiste quindi una carrellata di emozioni che condizionano la ricostruzione mentale di ciò che vediamo, (riaffiora il duo Battisti/Panella). Il concetto è spiegato talmente bene che un altro esempio lampante che Falcinelli fa è quello dei due ritratti di Isabella Brant, la moglie del famoso pittore fiammingo Rubens. C’è un confronto tra il ritratto dipinto dal marito e quello fatto dall’allievo di Rubens; ciò che appare evidente e che i due, avendo un rapporto diverso con Isabella, (il primo di amore e il secondo di natura professionale), rappresentano i volti in maniera molto diversa. Questo, nonostante i quadri siano stati creati nello stesso periodo e Isabella non sia cambiata.

Gli occhi quindi vedono ciò che gli racconta il nostro cuore, ed è il cervello che elabora questi impulsi trasformandoli in gesti, in questo caso pittorici, che sono infine totalmente diversi da persona a persona. Questa personalizzazione dei volti, che diventa perciò fittizia, apre la strada anche ad un'altra considerazione di Falcinelli che è legata alla menzogna e cioè all’inganno che un ritratto può perpetrare nei confronti di singole persone o più spesso della massa. Un esempio abbastanza noto di falsificazione ritrattistica è un altro dipinto, ancora più conosciuto; "La ragazza con l'orecchino di perla" di Jan Vermeer.

C’è chi, nel tempo, ha provato a spiegare un contesto psicologico interno alla ragazza, cosa abbastanza inutile in quanto la ragazza del dipinto è una pura immaginazione di Jan Vermeer. Si tratta, forse, di una forma metaforica per indicare un canone di bellezza, o magari un tentativo di raccontare l’adolescenza con un archetipo ideale. Sta di fatto che persino la perla dell’orecchino, secondo alcuni studiosi, per via della sua grandezza non potrebbe esistere in natura. Riccardo Falcinelli da alcune importanti spiegazioni sulle regole (direi auree forse impropriamente), per rappresentare il volto e ci dice che anche la posizione scelta per rappresentare o farsi rappresentare ha subìto nei secoli diversi cambiamenti, e spesso la cosa era legata a stretto giro con il livello sociale del soggetto.

Il profilo, per esempio, è utilizzato per dare del lei al committente. Dipingere il volto frontalmente invece è dare del tu. Leggendo il saggio ho ricordato la moltitudine di teste marmoree della sala degli Imperatori ai Musei Capitolini e riflettevo, mi rendo conto banalmente, che le sculture offrono l’opportunità di dare, a seconda di come le si osserva, del tu o del lei ai Re quanto alla gente comune. A questo punto potrei parlare della rappresentazione del volto, o del busto se vogliamo, in ambito scultorio ma il libro è talmente ricco e Falcinelli e così bravo nel racconto che non voglio anticipare altro, preferisco chiudere con “La voce del viso” di Battisti e con una considerazione legata al saggio. Cito prima il frammento del testo di Panella.

“Ed il tuo volto è tutto
Nel momento in cui
Passando sopra alla tua immagine
Della quale è troppo facile dire che è in superficie
Affiori l'anima
Passando sopra
La tua immagine

Falcinelli lo dice altrettanto bene in “Visus”. C’è quasi sempre nelle rappresentazioni pittoriche dei volti un piccolo puntino luminoso all’interno dell’iride, e cos’è quindi quella cosa che affiora in superficie, quella scintilla di luce che accende lo sguardo del dipinto e di chi lo guarda? Qualcosa che è certamente la voce del viso e che altri più concretamente chiamano anima.