Il Paese ha bisogno ogni anno di oltre 500mila lavoratori stranieri per colmare i vuoti nel mercato del lavoro. Eppure la politica si concentra ancora solo su sbarchi e decreti sicurezza. Ecco perché è urgente una riforma
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«L’Italia ha bisogno di immigrati. Lo dicono i numeri, lo gridano le imprese, lo conferma la demografia. Eppure continuiamo a discutere solo di sbarchi, emergenze e decreti sicurezza». (Maurizio Ambrosini, sociologo del lavoro, Università di Milano)
Il fabbisogno reale di manodopera
Secondo il rapporto annuale Unioncamere-Anpal 2024, l’Italia ha bisogno di oltre 500.000 lavoratori stranieri regolari ogni anno per colmare i vuoti nel mercato del lavoro nei settori chiave:
- edilizia;
- agricoltura e allevamento;
- logistica e trasporti;
- ristorazione e turismo;
- assistenza domiciliare e sanità.
Anche nel comparto industriale, sempre più aziende cercano operai specializzati, saldatori, meccanici, addetti alla manutenzione che il mercato interno non riesce più a fornire.
A fronte di questo, il Decreto Flussi 2024 ha autorizzato appena 151.000 ingressi regolari, di cui:
• solo 57.000 per lavoro subordinato stagionale;
• appena 7.000 per lavoratori altamente qualificati.
Numeri insufficienti e spesso inutilizzabili: la burocrazia rende l’iter per l’assunzione di lavoratori stranieri lento, frammentato e farraginoso.
Il paradosso italiano
Il dibattito politico italiano è incentrato quasi esclusivamente sull’immigrazione irregolare, che rappresenta meno del 15% del totale. Intanto, oltre 5 milioni di stranieri regolari vivono e lavorano nel nostro Paese, contribuendo al Pil, pagando tasse e sostenendo il sistema previdenziale.
Secondo l’Inps, nel 2023 il 10% dei contributi pensionistici è stato versato da lavoratori stranieri. Senza questo apporto, il sistema sarebbe ancora più in sofferenza, considerando l’invecchiamento della popolazione e il calo di nascite.
La Germania, invece, ha già varato nel 2023 una legge sull’immigrazione qualificata che semplifica i visti di lavoro, valorizza le competenze e permette un percorso stabile verso la cittadinanza.
Anche Spagna e Portogallo hanno adottato programmi di regolarizzazione e canali di ingresso preferenziale per categorie professionali carenti.
Gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non fanno più?
È una frase ricorrente, ma spesso fraintesa. Gli immigrati non sono necessariamente destinati ai lavori più umili. Il problema è che molte professionalità intermedie – tecniche, pratiche, sanitarie – sono state abbandonate dal mercato interno. Di conseguenza, i lavoratori stranieri occupano spazi lasciati vuoti.
Ad esempio:
- il 33% dei badanti e il 42% degli operatori sociosanitari in Italia è di origine straniera;
- il 25% dei braccianti agricoli è extracomunitario;
- nel comparto edilizio, le imprese segnalano che il 40% dei nuovi operai arriva da Bangladesh, Albania, Romania, Senegal.
Il rischio non è l’invasione, ma il vuoto lavorativo.
Una politica migratoria moderna è possibile
L’Italia dovrebbe dotarsi di una legge organica sull’immigrazione legale, non più solo emergenziale. Alcune proposte concrete:
- Potenziamento del Decreto Flussi, portandolo almeno a 300.000 ingressi regolari annui;
- Semplificazione amministrativa per i visti e per il riconoscimento dei titoli professionali esteri;
- Corridori lavorativi bilaterali, come già avviati tra Spagna e paesi latinoamericani;
- Permessi temporanei per formazione e tirocinio, in collaborazione con le imprese;
- Percorsi di cittadinanza per chi lavora e paga le tasse da anni, come previsto in Francia e Germania.
Le buone pratiche esistono (ma nessuno le racconta)
Ci sono Comuni italiani che hanno saputo cogliere l’opportunità dell’integrazione:
- a Bergamo, un consorzio tra imprese meccaniche ha formato in due anni 50 saldatori senegalesi, tutti assunti a tempo indeterminato;
- a Ragusa, cooperative agricole impiegano centinaia di lavoratori tunisini con contratti regolari e alloggi dignitosi;
- a Trento, un progetto di inserimento per badanti moldave prevede corsi di lingua, educazione civica e formazione professionale.
Sono esempi di integrazione reale e vantaggiosa per tutti.