L’evento

La Calabria al Vinitaly punta a una proposta unitaria, ma ora conteranno i contenuti e il racconto identitario

Il valore assoluto e distintivo della storia: nelle vigne calabresi si produceva ottimo vino già nel IV millennio a.C. con la stagione degli Enotri

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di Massimo Tigani Sava
8 aprile 2024
15:13

Alla 56ma edizione del Vinitaly, che si terra a Veronafiere dal 14 al 17 aprile, la Calabria punta su una visione e proposta unitaria. Il Vinitaly è una delle manifestazioni più importanti al mondo dedicate alla cultura e all’economia del vino: quest’anno si preannuncia un “incoming” da record con oltre 1.200 top-buyer provenienti dai cinque continenti. Affinché i nostri lettori possano afferrare al meglio questo concetto di “unitarietà della proposta Calabria”, occorre fare qualche precisazione sulle edizioni precedenti. Veronafiere organizza la fortunata kermesse nei diversi padiglioni di una struttura espositiva molto vicina al centro del capoluogo scaligero.

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In passato la Calabria si presentava, diciamo così, in duplice veste: da un lato una collettiva organizzata dalla Regione, dall’altra le singole cantine in spazi acquistati e allestiti autonomamente, distribuiti in aree diverse. Il posizionamento più o meno strategico di uno stand in fiere del livello Vinitaly è fondamentale per avere visibilità, per intercettare contatti piò o meno utili, ed anche in termini di immagine, per cui le aziende calabresi nel tempo hanno cercato di conquistare angoli importanti ed ambìti. Ho seguito personalmente il Vinitaly per tanti anni e ricordo come la prima attività del giornalista fosse quella di predisporsi una mappa della presenza calabrese, ricavandola o da contatti diretti o dalla guida distribuita dagli organizzatori al momento del check-in (una volta cartacea ed oggi in formato digitale).


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Sento ancora la fatica di lunghi e spesso estenuanti itinerari (in fiera si possono percorrere chilometri ogni giorno per spostarsi da una parte all’altra) tra i vari padiglioni per salutare i protagonisti delle diverse cantine, spesso accompagnato da operatore tv e giovani collaboratori: un saluto al compianto professore Nicodemo Librandi e ai suoi figli, poi un passaggio dai fratelli Iuzzolini o Statti, due chiacchiere con le sorelle Lento e il papà, una tappa nello stand dei Senatore, dei Caparra & Siciliani, di Capoano, dei fratelli Zito e di numerosi altri, per poi proseguire nel padiglione dedicato ai liquori e, tra i marchi più famosi nel mondo, intervistare Nuccio Caffo sorseggiando un Liquorice o un Amaro del Capo. Parallelamente un occhio sempre attento alle collettive della Regione Calabria, che ospitavano decine di produttori nonché iniziative promozionali e divulgative, completate talora da altre collettive più piccole organizzate da singoli enti territoriali su base provinciale. Insomma una Calabria policentrica e multiforme, al contrario di quanto non avvenisse ad esempio per realtà vitivinicole leader quali il Veneto, la Toscana o la stessa Sicilia.

Quest’anno, insistendo su una già richiamata visione complessiva che potrebbe offrire alla Calabria l’occasione di presentarsi al mondo con un unico progetto/brand vitivinicolo, l’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo è riuscito, d’intesa con il presidente Roberto Occhiuto, a convincere le cantine della regione ad accettare la sfida della collettiva unitaria visitabile nel Padiglione 12.

Al Vinitaly 2024 si potrà dire: facciamo un salto in Calabria e vediamo che cosa si dice e che cosa si beve! Accanto a questo sforzo organizzativo, che corrisponde ovviamente a una logica di potenziale crescita sistemica, sarà ora fondamentale, come abbiamo già scritto, esprimere i contenuti giusti per diventare distintivi, riconoscibili, autentici, inimitabili. Da anni sostengo che la strada giusta per ottenere questo risultato sia quella “identitaria”, nel senso di recuperare appieno uno “storytelling” basato sul più grande patrimonio di cui dispone la Calabria: la propria storia che si conta in millenni. E in questo contesto ho insistito, anche con pubblicazioni e studi specifici, sull’utilità massima di richiamarsi sia alla stagione dell’Enotria sia a quella luminosa della Magna Grecia. Dal mito di Italo, re enotrio buono e giusto così come lo descrisse Aristotele nella “Politica”, per passare, diversi secoli dopo, allo splendore di Reggio, Sibari, Crotone, Locri, Cirò e Punta Alice, Caulonia…

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La qualità, oggigiorno, è un valore e una pre-condizione che accomuna il Sud Italia alla Nuova Zelanda o al Cile, alla Francia come all’Australia. Né un territorio vitivinicolo di nicchia, qual è la Calabria, può imporsi di seguire le cangianti mode del momento. La Calabria può “vendere” al mondo le suggestioni straordinarie ereditate dalla propria storia che si conta in millenni, frutto di una stratificazione di culture che è assoluta, irripetibile, ineguagliabile. Il “terroir” della Calabria, se sapremo inquadrarlo, spiegarlo e declinarlo dal Pollino allo Stretto, ha in sé tutto ciò che serve per attrarre la curiosità dei palati dell'intero pianeta, proprio perché il vino, più di altri prodotti della terra, ha in sé il dono di raccontare al meglio i territori di provenienza. Ho sempre auspicato, in tal senso, un approccio multidisciplinare ultra-professionale: storia, archeologia, letteratura, enologia, agricoltura, vitivinicoltura, ambiente, ecologia, paesaggio, biodiversità, archeobotanica, comunicazione integrata.

È questo, a mio personale avviso, il percorso virtuoso da seguire, concentrando le risorse disponibili e premiando la meritocrazia in tutti i campi. Il Vinitaly 2024 sarà una svolta per la Calabria? Lo vedremo, con il migliore auspicio di risultati ottimali. All’assessore Gianluca Gallo suggerisco: conta molto di più affascinare il mondo con l’idea originale dell’Alberello Enotrio, o con altre proposte di uguale portata purché fondate su ricerche serie, che non imitare stancamente, con stereotipate roteazioni di calici, contesti vitivinicoli privi, al contrario della Calabria, del patrimonio più suggestivo e solido disponibile che è quello della Storia! Il vino calabrese è figlio dell’Enotria (IV millennio a.C.) e non ha bisogno di aggrapparsi, come altri, alla futilità di tanto costose quanto precarie iniziative che lasciano il tempo che trovano.

 

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