L’ex sindaco leghista di Verona, oggi in Forza Italia, avverte Salvini: «Con questi numeri non può pretendere sia Veneto che Lombardia. Se Meloni cede una regione, in cambio ne chiederà un’altra»
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L’europarlamentare di Forza Italia ed ex sindaco di Verona Flavio Tosi
«Il candidato del Veneto spetta a Fratelli d’Italia, Matteo Salvini se ne faccia una ragione». Flavio Tosi non gira intorno al problema. L’ex sindaco leghista di Verona, oggi eurodeputato e coordinatore di Forza Italia in Veneto, mette subito in chiaro il suo punto di vista: la successione a Luca Zaia non è una partita interna al Carroccio, ma una questione di numeri e di rapporti di forza nazionali.
La frattura nasce dalla fine del lungo ciclo del governatore. Zaia, al terzo mandato, non può più ricandidarsi. Eppure il suo peso resta enorme. Alle ultime Regionali del 2020 fu rieletto con il 76,8% dei voti, trascinato da una lista personale che raccolse oltre il 44%, più del doppio della Lega ufficiale ferma al 16%. Un “modello Zaia” che negli anni ha garantito alla Lega la roccaforte veneta, costruito su un consenso personale trasversale e su una gestione percepita come solida e pragmatica. Ma oggi, osserva Tosi, quel capitale rischia di trasformarsi in un problema per la coalizione: «La lista Zaia non ha ragione di esistere. Non è giusto presentare una lista che ha come unico obiettivo mangiare i voti al centrodestra».
Per Tosi la partita non è tanto su chi debba interpretare l’eredità del Doge, ma su quale partito abbia diritto a guidare la candidatura. «In politica contano i numeri. Se si guarda alle regioni amministrate e agli abitanti amministrati viene fuori che la Lega è il partito più sovrarappresentato». Una constatazione che rimanda agli equilibri generali: il Carroccio governa ancora Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, ma i suoi consensi elettorali sono calati vistosamente rispetto all’epoca del 34% delle Europee 2019. «Oggi le regioni non rispecchiano l’attuale assetto politico. FdI, alle Europee e alle Politiche, il miglior risultato lo ha ottenuto in Veneto», sottolinea Tosi.
La regia finale, inevitabilmente, spetta a Giorgia Meloni. «È una questione di numeri e alla fine deciderà Giorgia Meloni», ribadisce l’eurodeputato. E qui arriva l’avvertimento diretto a Salvini: «Se Meloni decide di lasciare il Veneto alla Lega, immagino che gli chiederà in cambio la Lombardia. Con questi numeri Salvini non può pretendere entrambe le regioni». La Lega continua a rivendicare la sua “culla” storica, forte della popolarità personale di Zaia e del radicamento territoriale costruito negli anni. Ma Tosi mette in guardia: replicare quel modello non è semplice. La forza del governatore uscente si è fondata sulla sua capacità di raccogliere voti trasversali, non su un simbolo di partito. Nel 2015 la sua lista personale superò il 23%, doppiando Forza Italia e avvicinando la Lega. Nel 2020, il sorpasso definitivo: la lista Zaia quadruplicò i consensi del Carroccio. Un’anomalia che oggi complica la successione e alimenta il dibattito su una possibile “lista del Doge”. Ma per Tosi sarebbe un errore: «Non è giusto presentare una lista che ha come unico obiettivo mangiare i voti al centrodestra».
La contesa si gioca così su due piani. Da un lato la partita nazionale, con Fratelli d’Italia che vuole capitalizzare il suo primato elettorale anche al Nord, e Salvini che punta a difendere l’ultimo bastione di consenso simbolico della Lega. Dall’altro, il nodo locale: come raccogliere l’eredità politica di Zaia senza disperdere i voti che per quindici anni hanno reso il Veneto la roccaforte leghista per eccellenza. Il centrodestra nel frattempo si divide sulle strategie. Forza Italia, con Tosi, si schiera per un candidato targato Fratelli d’Italia e boccia ogni ipotesi di liste civiche personali. Fratelli d’Italia osserva in silenzio ma rivendica il diritto a indicare il nome. La Lega, invece, non vuole mollare. Il presidente del Veneto Luca Zaia non commenta direttamente, ma la sua popolarità resta il convitato di pietra della trattativa.
Il confronto appare inevitabile: se Meloni decidesse di forzare la mano, per Salvini perdere il Veneto sarebbe un colpo durissimo, non solo simbolico. D’altro canto, se la presidente cedesse, difficilmente non chiederebbe in cambio la Lombardia. Il Veneto resta dunque il terreno più delicato della prossima stagione elettorale. Le parole di Tosi non fanno che rendere esplicito ciò che tutti sanno: la successione a Zaia non sarà solo una questione locale, ma il banco di prova dei rapporti di forza dentro la coalizione di governo.