Le motivazioni dietro la condanna a 20 anni per il triplice omicidio di padre, madre e fratellino: «Aveva programmato ogni fase del delitto». Il profilo: «Scaltro e attratto dall’ideologia nazista»
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
Un ragazzo di diciassette anni, apparentemente normale, capace di sedere a tavola con i genitori e il fratellino per festeggiare un compleanno e, poche ore dopo, trasformarsi in carnefice. È la vicenda che ha sconvolto Paderno Dugnano, hinterland milanese, nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024. Riccardo Chiarioni ha ucciso il padre Fabio, la madre Daniela e il fratello dodicenne con oltre cento coltellate. Oggi il Tribunale per i minorenni di Milano spiega perché ha deciso di condannarlo alla pena massima prevista: vent’anni di carcere.
Nelle 51 pagine di motivazioni firmate dalla giudice Paola Ghezzi, il giovane viene descritto come «lucido, manipolatore, scaltro e attratto dal nazismo». Non un ragazzo travolto da un raptus, ma un minore che ha programmato ogni dettaglio, scegliendo addirittura di attirare i genitori nella propria stanza e non nella loro camera matrimoniale, così da rendere più agevole l’agguato.
L’idea che lo avrebbe guidato, scrive la giudice, era «bizzarra e stravagante»: raggiungere l’immortalità attraverso l’eliminazione della famiglia. Un progetto nato da una sorta di fantasia onnipotente, ma tenuto sotto controllo. «Ha distinto la realtà dall’immaginazione – si legge – e ha lucidamente programmato, attuato e variato le proprie azioni».
Gli esperti incaricati di valutarlo avevano segnalato aspetti psicologici problematici: un elevato grado di alessitimia, difficoltà a riconoscere le emozioni, tendenze narcisistiche e una persistente “fantasia-progetto”. Lo psichiatra Franco Martelli aveva parlato di un ragazzo sospeso tra realtà e mondo immaginario, convinto di dover eliminare ogni affetto per approdare alla sua personale “immortalità”. Ma per il tribunale questi elementi non bastano a configurare un vizio parziale di mente.
La sentenza sottolinea come Chiarioni abbia mantenuto «coerenza e organizzazione mentale» in tutte le fasi del delitto: dall’attesa silenziosa in cucina all’aggressione al fratellino, fino ai colpi inferti alla madre e al padre, colpito anche alle spalle quando sembrava che il giovane volesse fermarsi. Una violenza definita «sconcertante», alimentata da «una grossa dose di rabbia e odio narcisistici».
Non solo: dopo la strage il ragazzo avrebbe tentato di depistare le indagini. Prima provò a far credere che fosse stata la madre a uccidere il padre, poi puntò il dito sul padre stesso, infine si accusò solo quando il nonno gli fece capire che gli investigatori non credevano alla sua versione. Un comportamento che, secondo i giudici, conferma la sua piena capacità di comprendere e manipolare.
Sul suo computer furono trovati file e immagini inquietanti: copie del Mein Kampf, commenti omofobi, riferimenti al fascismo e al nazismo. Indizi che, per il tribunale, delineano un interesse verso ideologie estremiste, forse utilizzate come cornice simbolica di un delirio personale di onnipotenza.
La condanna è arrivata lo scorso giugno: vent’anni di reclusione con rito abbreviato, massimo previsto per un minorenne. «Ha agito con lucidità e determinazione – scrive la giudice Ghezzi – senza alcuna evidenza di instabilità psichica o di ingovernabilità».
La difesa, guidata dall’avvocato Amedeo Rizza, annuncia ricorso. «Il tribunale non ha tenuto conto del nesso tra la patologia accertata e il reato – spiega –. Nelle perizie era stato riconosciuto un vizio parziale di mente, ma la sentenza lo ha ignorato. Il ragazzo ha bisogno di cure, non solo di punizione».
Intanto Riccardo, che oggi ha quasi 19 anni, si trova in un istituto penale minorile. Segue un percorso terapeutico, ma secondo chi lo ha osservato continua a mostrarsi distante dai fatti, come se non gli appartenessero. Nessun vero rimorso, più una sensazione di estraneità.
In paese la ferita resta aperta. I vicini ricordano quella famiglia come “normale”, mai segnata da conflitti evidenti. La villetta di via della Repubblica, sigillata il giorno dopo la strage, è diventata simbolo di un enigma irrisolto: perché un ragazzo ben integrato, con buoni risultati scolastici e amici, abbia deciso di trasformarsi in assassino dei suoi stessi genitori e del fratellino.
La sentenza restituisce una spiegazione parziale: la rabbia accumulata, l’ossessione per un mondo fantastico, la volontà di dominio. Ma resta la sensazione che il vero movente non sia mai stato trovato. E che la notte di Paderno Dugnano continuerà a essere ricordata come una delle pagine più buie della cronaca italiana recente.