Fotografia della progressiva crisi di «sostenibilità» del servizio sanitario nazionale che annaspa tra sprechi e inefficienze. In un simile contesto aumenta la percentuale di chi ha difficoltà ad accedere alle prestazioni assistenziali. Cresce la spesa sostenuta dai cittadini
Tutti gli articoli di Sanità
PHOTO
Sono quattro i “pilastri” a cui si ancora il declino della sanità. Per la fondazione Gimbe «una progressiva crisi di sostenibilità» del sistema sanitario nazionale, nutrito nel corso del tempo a colpi di definanziamento pubblico, sprechi e inefficienze e una deriva sempre più marcata verso il ricorso ai servizi privati. Il risultato oggi si traduce in una crescente inaccessibilità del cittadino alle cure mediche e nell’incapacità del sistema di trattenere professionisti sempre più proiettati verso mete capaci di garantire migliori carriere e più lauti stipendi.
Il finanziamento pubblico
Secondo la fondazione Gimbe, che ha tratteggiato i contorni di questo declino nell’ultimo report, dopo la stagione dei tagli alla spesa sanitaria (2010/2019) e dopo il periodo covid (2020/2022) nell’ultimo biennio (2023/2024) «non si intravede alcun rilancio progressivo del finanziamento pubblico». Sarebbe lo stesso documento di economia e finanza a confermare tale tendenza «il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,4% del 2024 al 6,3% nel 2025-2026 e al 6,2% nel 2027, ben al di sotto del valore pre-pandemia del 2019».
Sprechi e inefficienze
Se da un lato quindi, per la fondazione, si continua ad investire poco nella sanità pubblica dall’altro si evita la razionalizzazione del sistema che ancora galleggia tra sprechi e inefficienze. «Non è mai stato avviato un piano nazionale» si legge nell’ultimo report, con la conseguenza di moltiplicare i casi di «sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate o dal basso valore, sotto utilizzo di prestazioni sanitarie efficaci, appropriate o dal valore elevato, inadeguato coordinamento dell’assistenza, acquisti a costi eccessivi, inefficienze amministrative, frodi e abusi».
Nelle tasche dei cittadini
La capacità del pubblico di erogare prestazioni si contrae, e i cittadini sono costretti a sopportarne in proprio i costi, fin quando è economicamente sostenibile e prima di giungere al punto di rinunciare definitivamente alle cure. È sempre il report a confermare il progressivo aggravio a carico del contribuente: «rispetto al 2022, l’aumento della spesa sanitaria totale (+2,5%) è stato sostenuto esclusivamente dalla spesa out-of-pocket (+10,3%) e da quella intermediata (+11,8%)», ovvero direttamente a carico dei cittadini o intermediata da fondi sanitari o assicurazioni.
Nel 2023 aumento significativo
Rileva ancora la fondazione, «nel periodo 2012-2022 la spesa out-of-pocket ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% corrispondente ad un aumento totale di 5.326 euro in 10 anni. Tuttavia, nel 2023 si registra un’impennata significativa della spesa sanitaria a carico dei cittadini (+10,3%), pari a + 3.806 milioni rispetto al 2022». La principale voce di spesa è l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione.
Difficoltà di accesso alle cure mediche
A fare il paio, vi è la crescente difficoltà di accesso alle prestazioni pubbliche. Lo si evince dall’ultimo report condotto dalla fondazione presieduta da Nino Cartabellotta, che ha analizzato gli effetti del decreto “Liste d’attesa”. A fondamento della riforma vi è la creazione di una piattaforma nazionale per consentire ai cittadini di monitorare i tempi di attesa. «La piattaforma non è ancora accessibile al pubblico né completa dei dati di tutte le Regioni» sentenzia il report con la chiusa del presidente che punta il dito contro il fenomeno, ormai divenuto significativo, di chi rinuncia alle cure.
Chi rinuncia alle cure
Secondo le elaborazioni della Fondazione Gimbe su dati Istat, nel 2024 circa 5,8 milioni di persone, pari al 9,9% della popolazione, hanno dovuto rinunciare ad almeno una visita specialistica o a un esame diagnostico, rispetto al 7,6% del 2023 e al 7% del 2022. Tra le principali motivazioni vi sono i tempi di attesa troppo lunghi per il 6,8% e problemi economici per il 5,3%.