Braccato

Killer di ‘ndrangheta evaso a Milano, il pentito: «Così Sestito uccise il boss Femia a Roma e la sera tornò in carcere»

Sfruttando la semilibertà e un lavoro di facciata in una ditta edile, il milanese affiliato ai clan calabresi avrebbe ucciso il genero del mammasantissima Antonio "du naschi" Nirta insieme a un complice mentre stava finendo di scontare una condanna a 30 anni per l'omicidio di un carabiniere. In attesa dell'esito della Cassazione si è dato alla fuga  

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di Vincenzo Imperitura
2 febbraio 2023
15:30
L’auto in cui è stato ucciso Femia, nel riquadro Sestito
L’auto in cui è stato ucciso Femia, nel riquadro Sestito

«Io lo porto, mi tengo molto alla sinistra con… con lo scooter e gli faccio cenno di entrare anche lui in questo spiazzo del recinto. Lui va con la macchina un pochettino più avanti, loro escono da questi cancelli che era molto buio e hanno… e hanno sparato simultaneamente».

È il collaboratore di giustizia Gianni Cretarola a piazzare, armi in pugno, Massimiliano Sestito sul luogo dell’omicidio di Vincenzo Femia, genero del mammasantissima Antonio “due nasi” Nirta ed espressione del clan all’interno delle mura aureliane, giustiziato nella periferia della Capitale nel gennaio del 2013. «Dal lato guidatore c’era Pizzata con la 357. Lato passeggero c’era Sestito con la CZ». Da ieri Sestito è un uomo in fuga evaso dai domiciliari dove si trovava in attesa della decisione della Cassazione che si dovrà esprimere proprio sull'omicidio di Vincenzo Femia.


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L’omicidio di Vincenzo Femia è una faccenda seria: è il boss Giovanni Pizzata – direttamente dalla sua cella nel carcere di Rebibbia – a ordinarne la morte e a determinare che nel commando di fuoco ci sia anche Massimiliano Sestito: 52 anni, nativo di Rho nel milanese ma legato ai clan della “mafia dei boschi”, l’uomo è evaso dagli arresti domiciliari un paio di giorni prima della sentenza della Cassazione che avrebbe dovuto decidere se convalidare la condanna all’ergastolo stabilita dall’Appello Ter nell’ottobre del 2021, proprio in merito all’omicidio Femia.

Già condannato in via definitiva a trenta anni di reclusione per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Renato Lio (colpito a Soverato durante un normale controllo nell’estate del 1991) Massimiliano Sestito è uomo fidato dei Pizzata a Roma, dove si trova in regime di semilibertà.

A raccontarne la storia è il collaboratore di giustizia Giovanni Cretarola, magazziniere del clan – per cui custodisce armi e droga in un box a Torrevecchia – e cardine attraverso cui i Pizzata riescono ad attirare la vittima in trappola.

«Vallelonga – racconta Cretarola all’allora Procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino riferendosi al defunto boss dei viperari  – aveva riconosciuto che il paese di Gagliato era per diritto di Massimiliano Sestito perché in primis ‘ndranghetista prima della galera e prima dell’omicidio dell’ispettore, ‘ndranghetista operante per la famiglia Iozzo quindi a tutti gli effetti riconosciuto e ‘ndranghetista anche durante tutta la carcerazione tanto che lui alcune doti l’ha ricevute all’interno del carcere». Boss riconosciuto, era stato proprio Sestito a “battezzare” Cretarola, l’uomo che lo accusa.

Una cerimonia che avviene all’interno del carcere di Sulmona: «Ci riuniamo solo io, Massimiliano Sestito e Rocco Fedele. Per gli altri due assenti mettiamo dei fazzoletti annodati che li aveva Sestito questi fazzoletti. Perché si usa… si usa questa tradizione di mettere il fazzoletto con un nodo per rappresentare la persona che non… non può essere figuratamene lì. Per me aveva il nome di Antonio Palamara in quanto lui si trovava a Ventimiglia e aveva il nome di Bono Michele in quanto lui era a lavorare da un’altra parte all’interno del carcere di Sulmona».

Permesso di uccidere

Detenuto in regime di semilibertà, Sestito aveva trovato “lavoro” in un cantiere edile riconducibile ai Pizzata. Lo stesso cantiere dove lavorava Cretarola: «Lui svolge… svolgeva attività lavorativa lì, dentro al container – mette a verbale il collaboratore - quindi doveva stare per obbligo di legge dalla mattina alle sette fino al pomeriggio alle quattordici. E poi aveva un’altra ora di reperibilità dalle sei alle sette. Ma non è mai venuto nessuno a controllarlo e quindi la reperibilità non l’ha mai fatta».

Ed è proprio approfittando di questo buco nei controlli che Sestito può lasciare il cantiere sulla Togliatti e dirigersi sull’Ardeatina per far parte del commando di fuoco che alle 18.30 giustizierà con 11 colpi in faccia e al torace, il rappresentante di “due nasi” Nirta a Roma. Preoccupandosi poi di fare ritorno nel carcere di Rebibbia dove era ancora formalmente detenuto: «Dopo un po’ mi sembra che se ne va perché doveva rientrare al carcere di Rebibbia e quindi se ne va».

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