Inchiesta Genesi

Il giudice Petrini condannato anche in Appello: «Eclatante spregiudicatezza. Vendeva le sue funzioni per vivere nel lusso»

Nelle motivazioni della sentenza la Corte ritiene congrua la pena a quattro anni e quattro mesi inflitta al magistrato accusato di corruzione in atti giudiziari. Il suo presunto faccendiere Emilio Santoro era «aduso al malaffare e non faceva mistero del business in corso» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Luana  Costa
13 luglio 2023
08:14

La «spregiudicatezza» di Marco Petrini per la Corte d'Appello di Salerno è «eclatante». «Per assicurare decisioni favorevoli vende la sua funzione e riceve somme di denaro». Per questa ragione la pena inflittagli in primo grado «è congrua» e viene confermata anche dalla Corte d'Appello che nella motivazione della sentenza conferma «le argomentazioni complete ed esaustive» del giudice di primo grado sul procedimento penale scaturito dall'inchiesta Genesi.

Marco Petrini

Quattro anni e quattro mesi di reclusione per diversi episodi di corruzione in atti giudiziari inflitti all'ex presidente di sezione della Corte d'Appello di Catanzaro in considerazione anche del fatto che «la condotta collaborativa, sia pure importante, di fatto non avesse impresso un secco allontanamento dalle condotte illecite che si connotano invece per la gravità dei fatti e per la reiterazione dei comportamenti».


Una vita nel lusso

Così si è espressa la Corte respingendo i motivi di appello proposti dalla difesa: «Nessun rilievo può spiegare le presunte difficoltà economiche, trattandosi di difficoltà da lui stesso determinate, atteso che aveva scelto di condurre una vita di gran lunga superiore alle sue capacità reddituali di certo non scarse».

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L'accesso nel programma ministeriale

In secondo grado viene confermata anche la correttezza del calcolo in relazione alla non concessione delle attenuanti generiche in ragione «della personalità e al comportamento tenuto da Petrini» che nel corso dell'applicazione della misura cautelare «ha dimostrato spregio dei provvedimenti dell'autorità non esitando a violare le prescrizioni accedendo via internet, tramite la password della moglie ad un programma ministeriale». Reato per il quale il magistrato ha ottenuto una assoluzione. Corretta anche l'applicazione della pena accessoria della estinzione del rapporto di pubblico impiego.

Condannato Emilio Santoro

Confermata la condanna in secondo grado anche per Emilio Santoro a tre anni e due mesi di reclusione, presunto faccendiere del magistrato. Anche in questo caso rigettati i motivi di appello avanzati dalla difesa, secondo cui avrebbe offerto denaro a Marco Petrini per aiutarlo a fronteggiare una difficile situazione economico e in virtù del rapporto di amicizia.

Aduso al malaffare

Somme di denaro, casse di frutta, vini pregiati e pesce. Dalle intercettazioni, al contrario, sarebbe emerso che «Santoro fosse una persona adusa al malaffare perché sistematicamente con denaro ed altre utilità sovvenzionava il magistrato amico al solo fine di garantirsi la incondizionata messa a disposizione per scopi privati della funzione pubblica». Per i giudici della Corte, emerge come Santoro «andasse fiero e si vantasse del legame di amicizia e del rapporto di malaffare intessuto con il Petrini». Insomma, «non faceva mistero del business in corso con l'uomo delle istituzioni per accreditarsi agli occhi degli interlocutori».

Condanna anche per Francesco Saraco

Un anno e otto mesi confermati, infine, anche per Francesco Saraco in relazione a due episodi corruttivi: il dissequestro di beni e uno sconto di pena per il padre Antonio Saraco coinvolto nell'inchiesta Itaca Free Boat. «È certo che il collegio chiamato a trattare il processo era incardinato nel medesimo ufficio a cui Petrini apparteneva e in cui svolgeva anche funzioni direttive o semi direttive».

L'accordo corruttivo

I giudici della Corte d'Appello confermano la valutazione del gup: Marco Petrini aveva «concluso con il corruttore Francesco Saraco l'accordo, lasciando intendere di intervenire in favore del padre a prescindere della effettiva ingerenza nel processo e a prescindere dalla volontà di ingerirsi nell'affare». Ai fini del reato di corruzione è «essenziale che il pubblico ufficiale accetti la promessa di una retribuzione o riceva denaro o altra utilità per compiere l'atto d'ufficio». «La lesione del bene giuridico tutelato si realizza nel momento dell'accettazione della promessa o della utilità da parte del pubblico ufficiale».

Giornalista
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