Giustizia

Tribunale di Vibo Valentia, una sfida già vinta ma resta ancora qualche nodo da sciogliere

Presto a sentenza i grandi processi antimafia Rinascita Scott, Petrol Mafie e Costa Pulita. Ecco come l’ufficio coordinato dal presidente Antonio Di Matteo è riuscito a sopperire alle carenze di personale e alle mancanze di Csm e Ministero della Giustizia

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di Pier Paolo Cambareri
20 ottobre 2023
10:44
Il tribunale di Vibo, nel riquadro il presidente Antonio Erminio Di Matteo
Il tribunale di Vibo, nel riquadro il presidente Antonio Erminio Di Matteo

La sfida è quotidiana e le necessità stringenti. Ma l’orizzonte è sempre chiaro e ben visibile: amministrare la giustizia – nei suoi aspetti ordinari e straordinari – senza intoppi e a qualunque costo. Al Tribunale di Vibo Valentia la routine non esiste. E non c’è rischio di cadere nella monotonia. Da qualche anno lo Stato interviene sul territorio con la scure repressiva delle operazioni antimafia. E lo stesso Stato, con le sue altre articolazioni, agisce di conseguenza nel soppesare, valutare e giudicare i nodi che l’accusa contesta agli indagati. Tutto senza soluzione di continuità.

Gli esiti? Sorprendenti. E ai più inattesi: il ritiro in Camera di consiglio dei giudici chiamati a presiedere il processo Rinascita Scott rappresenta un risultato fuori dal comune, senza precedenti in Calabria: oltre 300 imputati (solo in ordinario), più di 500 udienze, un calendario fittissimo e snervante, tre anni di dibattimento. Un processo antimafia imponente, non a caso chiamato “maxi”. Ma non certo l’unico, considerato che stanno arrivando a conclusione anche “Petrol Mafie” e, dopo sette anni, “Costa Pulita”. Dinamiche operative (e numeri) da grandi Tribunali e non già da piccoli uffici di frontiera qual è quello vibonese. Come è stato possibile?


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Macchina della giustizia ormai rodata

Appena un anno fa, era il mese di settembre del 2022, la stampa regionale e nazionale rilanciava gli allarmi del presidente Antonio Erminio Di Matteo sul rischio che il sistema potesse implodere per via delle tante attività in corso e della carenza (mai sanata) di personale anche amministrativo. Un anno dopo, quasi alle stesse condizioni operative, la macchina della giustizia non soltanto non si è inceppata ma ha preso a girare come un orologio svizzero, senza perdere un solo colpo. Perché? Per due motivi: la perfetta organizzazione interna e la gestione quasi collegiale del sistema, che ha consentito di innescare processi virtuosi culminati nella decisione di molti di condividere un percorso di sacrifici personali resi come tributo (non dovuto) alla collettività.

Qualche sacrificio nel civile

Se il settore penale, nonostante le anomalie legislative che continuano a penalizzare una realtà periferica come quella vibonese, ha assicurato tempi e modalità di gestione moderni e mai conflittuali, la chiave è da ricercare nella corretta gestione delle emergenze e nell’assunzione di responsabilità al momento di decidere a cosa dare priorità: il penale, appunto, rispetto al settore civile che dovrà affrontare qualche piccolissimo sacrificio. E cioè: per portare a pieno compimento dibattimenti che interessano persone private della libertà personale, è stato necessario rinviare tre udienze collegiali. Appena tre e non certo nelle materie a maggiore impatto sociale: famiglia, esecuzioni, fallimenti che infatti proseguono regolarmente. Tutto ciò sempre a causa delle criticità riconducibili alle normative vigenti che hanno consentito (e consentono) ai magistrati di rispondere a bandi e interpelli vari per ottenere l’assegnazione di nuove sedi. Anche a causa di ciò, nel momento topico, si sono persi 4 magistrati costringendo il presidente del Tribunale Di Matteo a rimettere mano agli equilibri riorganizzativi che erano stati raggiunti.

I nodi ancora da sciogliere

Il tema dei trasferimenti – anticipati e posticipati possessi – resta uno dei nodi chiave da sciogliere al più presto, al pari delle esigenze di potenziamento della pianta organica del Tribunale di Vibo non solo sul versante del mondo togato, ma anche amministrativo e delle cancellerie. Temi che lo stesso Antonio Di Matteo aveva già posto all’attenzione della delegazione del Csm arrivata in visita a Vibo a maggio di quest’anno. Proprio in quella sede, il presidente del Tribunale aveva posto l’accento sulle necessità di incremento dei magistrati (ce ne sono in servizio appena 22) e sulla attenta analisi delle emergenze da sanare (e segnalate a tempo debito) per una corretta amministrazione della giustizia. Di Matteo, all’epoca, si era soffermato sulle applicazioni extradistrettuali, sulla gestione intelligente di anticipato e posticipato possesso, sul superamento delle scoperture riconducibili alle piante organiche flessibili, sulla rivisitazione generale della pianta organica. E tutti questi temi erano stati sollevati anche alla luce della mole di lavoro impressionante alla quale gli stessi magistrati erano e sono ancora chiamati.

Un tribunale ormai "centrale"

Il Tribunale di Vibo Valentia ha conquistato centralità nel dibattito regionale e nazionale, con le sue rivendicazioni a Csm e Ministero della Giustizia, proprio grazie ai risultati raggiunti nonostante le evidenti difficoltà operative. Il lavoro affrontato in Rinascita Scott da tre giovani magistrate (Brigida Cavasino presidente, Claudia Caputo e Germana Radice a latere) rappresenta un esempio lampante di come si possa sopperire con impegno personale e collettivo alle mancanze di un sistema giudiziario che ancora deve sanare tante storture. E la scelta di condurre la Camera di consiglio alla Scuola di Polizia di Vibo Valentia, un ambiente sicuro e ideale per restituire alle togate il clima necessario a decidere, rappresenta la ciliegina sulla torta di una gestione oculata (anche economicamente) della giustizia, segnali che Ministero e Csm dovrebbero cogliere per restituire a chi opera nelle sedi disagiate del Sud la dignità che merita. In caso contrario, tutti gli sforzi condotti negli ultimi cinque anni rischierebbero di risultare vani mandando a monte un lavoro che ha ricostruito, su ogni versante, il rapporto di piena fiducia tra mondo della giustizia e cittadini.

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