Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, eroe del popolo albanese, e non solo! Non c’è comunità degli Arbëreshë di Calabria che non lo ricordi con un busto di bronzo collocato in maniera adeguata, con la dedica di una piazza o di una strada importante. Gli italo-albanesi si contano in decine di migliaia e sono molto legati alle loro radici storico-culturali e identitarie, compresa la tradizione bizantina, un vero e proprio rito riconosciuto dalla Chiesa di Roma: cattolici ma uniti da specifiche eparchie (quella di Lungro, in provincia di Cosenza, e quella di Piana degli Albanesi in Sicilia). Parlano la lingua arbëreshe, oltre che l’italiano, e conservano rapporti importanti e saldi con i luoghi d’origine per buona parte corrispondenti all’odierna Albania, ma che gli storici hanno individuato nei territori più vasti dell’antico Epiro i cui confini toccavano anche ampie porzioni della Grecia nord-orientale e della Macedonia dei secoli passati.

Scanderbeg, che visse nel XV secolo, è considerato a giusta ragione il coraggioso e intrepido difensore dell’indipendenza dell’Albania cristiana minacciata e poi conquistata dall’Impero Ottomano di religione musulmana. Era un principe e un generale molto determinato, capace, astuto e audace: nella sua leggendaria azione di contrasto dei Turchi ebbe rilevanza internazionale in un’epoca assai complessa in cui l’intera Europa era timorosa di non riuscire a reggere l’impatto militare contro le potenti e sovrastanti armate dei sultani. Proprio nel 1453, segnando la fine dell’Impero Romano d’Oriente, Maometto II conquistò Costantinopoli, già Bisanzio e poi nel tempo detta Istanbul. Scanderbeg ottenne ben presto il sostegno non solo dei compatrioti albanesi desiderosi di difendere ad ogni costo la propria indipendenza e la propria fede, ma anche da diversi Stati cristiani d’Europa, tra i quali la Repubblica di Venezia, e dallo stesso Papato.

Le sue gesta militari risuonarono in tutto il Vecchio Continente, soprattutto negli anni compresi fra il 1444 e il 1460: dove non riuscì a combattere a viso aperto, per evidente disparità di forze, dimostrò doti da “guerrigliero” incutendo timore agli avversari e provocando loro danni ingenti senza rischiare pesanti sconfitte. Il contesto era tanto articolato quanto difficile anche perché dominato dai contrasti politico-diplomatici ed economici tra le potenze cristiane, e non ultimo anche dai dissidi tra i vari gruppi e principati albanesi, peraltro alimentati dagli Ottomani.

Nella lotta tra Aragonesi e Francesi che si contendevano il controllo del Regno di Napoli il prode Scanderbeg si alleò con i primi che aiutò anche militarmente combattendo in Italia meridionale: ne ottenne riconoscenza e collaborazione, oltre che amicizia per le sue genti. Giorgio Castriota morì all’improvviso di malattia nel 1468 lasciando un vuoto incolmabile. L’Albania, dopo la Grecia e la Morea, cadrà in mano ottomana nel 1481. Papa Callisto III (1378-1458), di origini spagnole e legato agli Aragonesi, conferì a Scanderbeg il titolo di “Athleta Christi et Defensor Fidei”. Attorno alla figura di Giorgia Castriota, quindi, nel riconoscimento della sua forte tempra e delle sue memorabili gesta, si unirono sia i sentimenti nazionali albanesi sia la tenacia dei cristiani nel resistere all’avanzata musulmana.