Firmato l’accordo fra UE e USA sui dazi, ecco emergere dubbi e perplessità. Qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto, e così l’Italia pagherà un prezzo caro, così pure la Calabria

Ne parliamo con Franco Napoli, vice presidente nazionale Confapi.

Ieri è stato firmato l’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti. Dietro la facciata di un’intesa vantaggiosa, l’Italia rischia di uscirne svantaggiata? Cosa significa nel concreto?
«Sì, il rischio c’è. L’accordo viene presentato come una vittoria per l’Europa, ma a un’analisi più attenta emergono squilibri che penalizzano in particolare alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Il nostro sistema produttivo, fatto di piccole e medie imprese, di eccellenze manifatturiere e agroalimentari, non è messo in condizione di competere ad armi pari con quello statunitense. A fronte di aperture del mercato USA, spesso più teoriche che reali, l’Italia potrebbe perdere quote nei settori in cui è più forte».

L’UE introduce un dazio del 15% sui prodotti USA, ma elimina tutti i dazi su quelli europei verso gli Stati Uniti.
«Sulla carta sembra un buon compromesso, ma il diavolo è nei dettagli. I dazi europei, anche se applicati, non coprono settori chiave per gli interessi americani. Al contrario, l’eliminazione dei dazi UE verso gli USA potrebbe aprire sì dei mercati, ma senza adeguate tutele per la nostra produzione. Il rischio è che l’accordo favorisca le grandi multinazionali, lasciando indietro le nostre imprese».

E non va dimenticato che i dazi, quando ci sono, non facilitano affatto la vita alle nostre PMI.
«Vero, aumentano la complessità burocratica, creano incertezza e spesso finiscono per rendere ancora più difficile l’accesso a mercati strategici come quello statunitense.
Inoltre, i dazi non giovano allo sviluppo dell’economia: le imprese vedono ridursi i margini di manovra, e saranno costrette a rivedere le proprie strategie di internazionalizzazione».

Sarà necessario cercare vie alternative all’importante, ma sempre più complicato, mercato USA. Quali possono essere?
«Quelli con opportunità di crescita significative e dazi più bassi. È fondamentale agire nei mercati dove l’Unione Europea ha già siglato accordi di libero scambio, come il Canada, il Giappone o la Corea del Sud. In quei contesti esistono condizioni più favorevoli e margini concreti di espansione».

Per le auto europee le tariffe superano il 15%, penalizzando il settore italiano. È così?
«Purtroppo sì. Il settore automotive europeo viene colpito duramente, e l’Italia, che già subisce una fase di transizione complessa nell’industria dell’auto, potrebbe pagare un prezzo salato. Soprattutto nel Mezzogiorno, dove la filiera dell'automotive è fondamentale per l’occupazione, l’impatto potrebbe essere significativo».

I problemi ci sono anche per vino e agroalimentare. Un bel guaio per la Calabria.
«Assolutamente. L’Italia è il primo produttore mondiale di vino, avendo riconquistato la leadership con circa 41 milioni di ettolitri di produzione stimata per la vendemmia 2024. L’agroalimentare italiano, e calabrese in particolare, è tra i settori più esposti. Concorrenza sleale, standard diversi, e un sistema di etichettatura più permissivo negli USA rischiano di svalutare le nostre eccellenze. I piccoli produttori non possono reggere l'urto della competizione con prodotti americani a basso costo ma di qualità inferiore. È una minaccia concreta per l’identità economica e culturale della Calabria».

E per l’acciaio cosa succederà?
«L’acciaio resta un nodo irrisolto. L’Europa non ottiene reali garanzie sul mantenimento della produzione interna, mentre gli USA continuano a sostenere la propria industria con misure protezionistiche. L’Italia, che ha già sofferto pesantemente per la crisi dell’acciaio, rischia ulteriori tagli e delocalizzazioni».

Cerchiamo di capire perché Bruxelles accetta di aumentare la dipendenza energetica dagli USA, con acquisti per 750 miliardi di dollari di gas, petrolio e nucleare.
«Questa è una delle scelte più discutibili. L’Europa, invece di diversificare le fonti e investire in autonomia energetica, rafforza la dipendenza da un unico partner, e lo fa a costi elevatissimi. È una decisione strategica che può avere gravi ripercussioni nel medio-lungo termine, soprattutto in un contesto geopolitico instabile».

L’accordo prevede anche maggiori acquisti di armi americane, e sarà un altro prezzo da pagare per l’Europa.
«È un ulteriore passo verso una subalternità strategica. Acquistare più armamenti dagli USA non significa solo spendere di più, ma rinunciare allo sviluppo di una vera difesa comune europea. Le nostre industrie della difesa, che potrebbero essere volano di innovazione e occupazione, vengono messe in secondo piano».

In buona sostanza l’Italia scambia autonomia industriale e strategica con maggiori forniture di energia e armamenti dagli Stati Uniti. Questo comporta gravi rischi.
«Esatto. L’Italia, come l’Europa, sembra sacrificare pezzi importanti della propria sovranità economica in cambio di sicurezza apparente. Il rischio è che, nel lungo periodo, ci si ritrovi più vulnerabili e meno competitivi, sia sul piano industriale che su quello politico».

Il conto chi lo paga?
«Lo pagano innanzitutto i consumatori, perché i dazi sono una tassa indiretta su ciò che acquistiamo: i prezzi aumentano, spesso in modo invisibile ma concreto. E lo pagano anche le imprese, che vedono ridursi i margini di profitto per effetto dei costi aggiuntivi. Quando un’azienda è costretta a pagare un “ticket” per esportare o importare, la sua competitività cala, e con essa anche l’occupazione. Tutto questo, di certo, non fa bene all’economia reale».

Il dollaro debole rappresenta una minaccia.
«È un secondo dazio, meno visibile ma altrettanto pesante. Da inizio anno il cosiddetto “biglietto verde” si è deprezzato di oltre il 10%, rendendo le esportazioni europee meno competitive e quelle americane più aggressive sui nostri mercati. In pratica, l’Europa paga due volte: con le tariffe e con un cambio sfavorevole. E l’Italia, con un’economia orientata all’export, ne subisce in pieno le conseguenze».

Alla fine ha vinto Trump e perdono l’Europa compresa l’Italia.
«In termini geopolitici, è evidente che gli Stati Uniti, sotto la guida di Trump, hanno saputo imporre i propri interessi. L’Europa, ancora priva di una visione comune e compatta, ha ceduto troppo facilmente. E tra i Paesi più penalizzati c’è l’Italia, che ancora una volta paga il prezzo delle scelte altrui senza aver voce in capitolo».