L'autunno è la stagione ideale per affidarsi alle pagine di autori che hanno disegnato la paura con arte sopraffina. Ecco una selezione di dieci volumi da sfogliare a lume di candela
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
I libri del buio da leggere sotto le coperte. Da King a Jackson passando per Poe e Shelley
L’autunno è finalmente qui, ha combattuto contro l’estate e alla fine ha vinto, come sempre. La stagione dei colori caldi, del foliage, della pioggia, del buio presto è quella preferita dai lettori. Le atmosfere raccolte ispirano quiete e un cielo nuvoloso, e il silenzio è la compagnia giusta per leggere certe storie. Ecco una piccola Fall Collection, per chi ama aver paura, mentre fuori tuona.
«Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.»
Benvenuti nella casa di Shirley Jackson, l'incubo che ameremo sognare. La casa sulla collina attende ospiti. Li ha scelti il professor Montague, esploratore dei misteri che celano le mura di quella dimora scura, elegante, tetra, quasi ansimante. I convocati disertano quasi tutti, se ne presentano sono solo tre: Eleanor, Theodora, Luke. La prima è una giovane infelice e timida, preda di insicurezze e paure, nel passato spettatrice di un fenomeno paranormale. La seconda, Theo, artista, è più audace e sicura e infine c'è Luke, legato a Hill House in quanto erede della famiglia proprietaria.
I giorni e le notti trascorrono, al principio, senza particolari segnali inquietanti. Ma lentamente, come un fiume carsico che vibra tra le fondamenta, la casa comincerà a irrorarsi di energie fuori controllo, buie, incomprensibili, e a manifestarsi come un organismo reale, pulsante, affamato. Shirley Jackson con una prosa elegante, ma mai per vezzo, dipinge con cura fiamminga una storia di anime frastagliate, bisbigli di ruscello, riuscendo a catturare la componente più scura del sogno, quel lembo onirico che si straccia in ultimo, prima del risveglio, come se un ramo volesse trattenerci in fondo al sonno, e a tenerlo stretto tra le dita, le nostre.
Caro amico, benvenuto nei Carpazi. Vi attendo con ansia. Dormite bene questa notte. Domattina alle tre parte la diligenza per la Bucovina, sulla quale è stato fissato un posto per voi. Al Passo Borgo sarete atteso dalla mia carrozza che vi condurrà da me. Spero che il viaggio da Londra sia stato buono, e che vi sia piacevole il soggiorno nel mio bel paese. Il vostro amico Dracula.
Il 3 maggio 1890 un giovane viaggia su un treno lanciato verso l'Europa orientale. Jonathan Harker, ha lasciato di malavoglia la sua promessa sposa Mina, per sbrigare una faccenda piuttosto urgente commissionatagli dal suo capo, Peter Hawkins. Un nobile romeno, ha intenzione di acquistare una casa a Londra e Jonathan è la persona scelta a chiudere il contratto. Harker appunta quel viaggio, imprimendolo in missive che racconteranno, con crescente tensione, il suo arrivo in Transilvania, i timori della gente del posto nell'apprendere dov'è diretto e di chi sarà ospite, la conoscenza di un individuo cortese e magnetico che lo convincerà a prolungare il soggiorno nella sua vecchia dimora, il conte Dracula.
"Dracula" di Bram Stoker è una pietra miliare del genere, un racconto che sceglie la strada accidentata del romanzo epistolare da cui si trae gran gusto nella lettura. Per molto tempo si credette che a ispirare Stoker fossero state le vicende legate al leggendario Vlad III, sanguinario voivoda di Valacchia e membro della Casa dei Draculesti, quando invece a colpirlo furono gli avvenimenti accaduti nel 1892 a Exeter, in New England.
Sul giornale, un cronista raccontò della diciannovenne Mercy L. Brown morta per un male misterioso, lo stesso che aveva ucciso anche sua madre Mary e sua sorella Mary Olive. Dopo poco anche il fratello si ammalò e in paese cominciarono a diffondersi voci su una trasformazione malefica della giovane in un'entità che vagava di notte, colpendo i familiari superstiti. I corpi delle tre donne vennero riesumati e quello di Mercy fu trovato intatto, con capelli lunghissimi e sangue intorno alla bocca. I cerusici allora non esitarono a bollare quella malattia come vampirismo (in realtà probabilmente si trattava di tubercolosi). Il padre piantò un paletto nel petto cadaverico della figlia Mercy e ne fece bruciare i resti offerti da bere al figlio nella speranza, vana, di guarirlo. Cinque anni dopo quegli eventi Stoker scrisse "Dracula".
Quanto sono mutevoli i nostri sentimenti e quanto strano è l’attaccamento passionale alla vita che abbiamo anche nel massimo della sofferenza!
L'Eighteen hundred and froze to death fu chiamato semplicemente anche l'anno senza estate. Quel 1816 distrusse i raccolti in tutta l'Europa settentrionale e piegò anche gli stati americani del nord est e il Canada. Fu in quel maggio di anomalie climatiche, che la sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, la invitò insieme al marito Percy, a trascorrere un po' di tempo a Ginevra. Claire era l'amante di Lord Byron ed era incinta, e l'idea di rinchiudersi a Villa Diodati, nei dintorni di Cologny, per raccontare storie da brivido mentre la pioggia batteva alle finestre, le piaceva da impazzire.
L'invito fu accettato. Il gruppo passò il tempo leggendo storie tedesche di fantasmi, che poi entrarono nell'antologia Fantasmagoriana, e a discettare di poesia e umanità. Fu Byron a suggerire agli ospiti di scrivere una storia a tema fantasmi, trovando l'entusiasmo di tutti. Mary si mise da parte, non trovando argomenti su cui lavorare, e si limitò ad ascoltare le chiacchiere degli altri. Questo finché la conversazione non si spostò sul galvanismo e sulla prospettiva di creare una creatura umana assemblando pezzi di defunti e animandola con l'elettricità. Quelle parole solleticarono l'inconscio di Mary Shelley che, quella notte stessa, fece un incubo e diede il via alla leggenda. La scrittrice sognò un giovane studente in ginocchio accanto a una creatura composta da pezzi di morti che improvvisamente diventava viva.
Così nacque la Creatura del dottor Frankenstein, il moderno Prometeo. Un mostro solo, abbandonato dal suo stesso padre per cui nutre desideri di amore e odio, di attrazione perché è l'unico legame con la Terra e in qualche modo è per lui spontaneo riconoscerlo come padre, e di respingimento per l'odio che gli regala solo per essere nato. Shelley sceglie la forma del romanzo epistolare e intinge la penna nel buio, tracciando un racconto che riflette le paure scoperchiate dalla Rivoluzione Industriale e di una scienza tutt'altro che illuminata, capace di nefandezze pur di superare la Natura in volata.
Tra l'esaltazione della scoperta (quando il dottor F. capisce come dare vita a quella Creatura), e il momento in cui da scienziato prende coscienza delle terribili conseguenze della sua ambizione, scorre il dolore per quel nascituro venuto alla luce con la tempesta elettrica, con violenza, desiderato e poi confinato. "Frankenstein" è considerato il primo romanzo di fantascienza della storia, scritto da una donna di talento che in una notte sognò il futuro.
... e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento, e la mia anima, fuori di quest'ombra che giace ondeggiando sul pavimento, non si solleverà mai più!
Quando fu raccolto a Baltimora, vicino a un seggio elettorale, Edgar Allan Poe non faceva che ripetere questo nome: «Reynold...». Pochi giorni dopo, era il 7 ottobre del 1849, lo scrittore che tanto avrebbe ispirato generazioni a venire di letterati, poeti, registi, sceneggiatori e drammaturghi, morì. Il male che l'aveva colpito resterà per sempre un mistero, come mai si comprenderà cosa ci facesse a Baltimora visto che era atteso a Philadelphia. Si arrivò a pensare che fu solo un'altra vittima dei rapimenti ai seggi. Una storia che sarebbe piaciuta allo stesso Poe se solo non fosse stata la vittima di questa vicenda.
Nella raccolta del Mammut di Mondadori c'è tutto quello che un amante del tetro d'autore possa desiderare. Poe, scapestrato in vita e follemente creativo, influenzò Melville, che scrisse Moby Dick dopo essersi deliziato tra le righe del romanzo, incompiuto, di Poe "Le avventure di Gordom Pym", e Arthur Conan Doyle che apprezzò quella che è considerata la prima storia poliziesca della letteratura, "I delitti della Rue Morgue".
Il cinema, da Poe ha rapinato a mani basse, ricordiamo gli omaggi fedeli come "La caduta della casa degli Usher", film datato 1928, la trasposizione più recente su Netflix che prende spunto da più racconti dello scrittore di Boston, la pellicola degli anni Novanta "Il Corvo" col compianto Brandon Lee nei panni di un'anima in pena, che sul set ci rimise la pelle. Le storie di Poe sono perle che riflettono la luce nel buio della notte, ma sempre con un graffio di ironia sul fondo, come se la tragicità della fine si possa trasfigurare in una lezione morale per condotte amorali, un po' tragicomiche alla fine. La morte volteggia sopra gli umani e sussurra che non c'è nulla di personale, perché quella è solo una partita a scacchi.
Non da quella parte, amore mio! Non da quella parte! È il bosco dei morti
Scriveva Lord Byron "Vi è un incanto nei boschi senza sentiero". L'incanto della deliziosa edizione di ABE editore di "Selve Oscure" a cura della Bottega dei traduttori con la sua copertina legnosa, è da prendere e conservare nello scaffale della libreria più alto. Nel volume troviamo una raccolta di racconti allacciati dall'ambientazione comune: il bosco, nella sua accezione più tetra, intesa come alveo oscuro animato da suoni di una natura indifferente alle sorti umane.
Tra il fogliame e le radici, annodati nei tronchi venosi, creature si muovono come dannati, come i maledetti dagli dei che hanno osato sfidare le entità sovrumane e per questo sono stati puniti, o hanno solo guadagnato la strada per sentieri perduti per semplice capriccio della sorte. Spirano venti caldi, colline erbose, tra le storie di Lovecraft, Bierce, H. G. Wells, Alphonse Daudet, Blackwood, M. R. James, e passando tra i rami dei salici suonano un motivetto che sa di morte.
L’ombra dello Scorpione
Autore: Stephen King Editore: Sperling & Kupfer pp. 284
“Ma nessuno sa quanto durano cinque minuti nel buio; si potrebbe dire che, nel buio, cinque minuti non esistono.”
Piena notte. Una vecchia Chevy percorre a zig zag la strada che porta al distributore di benzina. Quell'auto finirà dritta contro le pompe, pensa uno del gruppo che come ogni sera si riunisce a bere qualcosa. Così accade. La macchina prende in pieno le colonnine della Texaco. Un tale, che chiamano Hap, insieme agli altri si precipita a prestare soccorso. Apre la portiera. I tre occupanti sono morti. C'è anche una bambina. Tutti portano i segni di qualcosa che sembra un male esploso come un palloncino nelle loro gole. Comincia così l'incubo di Captain Trips, un virus sfuggito a una laboratorio che finisce per uccidere il 99% della popolazione.
Nella giungla della sopravvivenza, quando la civiltà cade e la società va in pezzi, si aggirano uomini in grado di mostrare il proprio lato ferino mentre altri, fino a quel momento fantasmi della propria stessa vita, si riscoprono eroi. Tra afflati biblici (l'opera di King ne è intrisa) e una ricerca amorevole dei caratteri, quasi paterna, la storia cammina per bivi e nella sua edizione integrale fa godere di intermezzi preziosi e brevissimi, microstorie innestate con la pinza chirurgica nel tessuto connettivo del racconto cardine, regalando un quadro incredibile per sfaccettature e complessità visiva. Un'esperienza quasi irripetibile.
Stephen King in questa opera monumentale scava con lo scalpello arrivando al midollo dell'umanità stanca e avvelenata, lasciata a marcire nella solitudine della moltitudine indifferente, nel disagio che genera gli unici mostri che ci camminano accanto ogni giorno, affiancandola a un'altra porzione di mondo, capace di mostrare amore ed empatia anche nell'ora più buia.
In mezzo, la danza tra il bene e il male incarnato da Randall Flagg, entità divina che pare generata dal Maelstrom infernale per corrompere gli animi già stracciati di uomini deboli. Il confine, sottile come un bisbiglio che separa i buoni dai cattivi, King lo vide talmente labile da portarlo a interrompere la scrittura dopo aver buttato giù ben cinquecento pagine. Il blocco durò a lungo, poi l'affetto che lo scrittore del Maine già provava per le sue creature, lo portò a combattere contro sé stesso per capire che proprio questo limes sfumato, che non rendeva la cesura tra il lato luminoso e quello in ombra accentuato al punto giusto, era il nodo da sciogliere. Alla fine si piange, dopo aver stretto i pugni così a lungo da rendere le nocche bianche per la tensione, e forse si spera. Come nella vita. E arrivati alle ultime pagine di questo poderoso viaggio, non si vorrebbe mai scendere a terra.
Il ragno si avventò contro di lui sulla sabbia in ombra, agitando freneticamente le zampe filiformi. Aveva un corpo nero, lucido, a forma d’uovo, che tremolava per la furia dell’assalto e si lasciava dietro sulle dune immobili una scia di graffi che smuovevano rivoletti di sabbia
Scott Carey è un uomo americano qualunque. Ha una moglie, una figlia, una vita ordinaria senza particolari scossoni. Perché, allora, è successo proprio a lui, sembra chiedersi quando un gatto gigante gli dà la caccia per azzannarlo. Durante una gita, il contatto con una misteriosa sostanza, forse radioattiva, ingenera una reazione corporea all'inizio trascurata. Scott inizia a dimagrire, ma più che un dimagrimento è un rimpicciolimento.
Da principio non gli bada, ma col tempo, al ritmo di tre millimetri al giorno di perdita di massa, la faccenda comincia a diventare seria. L'uomo che era, inizia a rattrappirsi e Scott resta solo in un mondo elefantiaco fino a quando lo sconforto, che lo porta a chiedersi cosa avverrà quando raggiungerà il livello Zero, inizia ad avere la meglio sull'istinto di sopravvivenza. Richard Matheson nel 1956 pubblicò questa storia che, appena arrivata sugli scaffali, venne opzionata per il cinema diventando il film Radiazioni BX: distruzione uomo.
“Non è morto ciò che in eterno può attendere, e col volgere di strani eoni, anche la morte può morire.”
Lui si definiva weird (strano), e questa era la cifra delle sue storie che sfogliavano l'abisso con cautela e crescente angoscia. Il suo Necronomicon fu un'intuizione geniale, il non-libro, una boutade quasi, spacciata come fonte che avvalorava certi accadimenti raccontati nei suoi testi. L'autore di questo libro lo identifica con un certo Abdul Alhazred, un poeta folle originario di San'a, nello Yemen. Secondo alcuni a ispirare Lovecraft fu La Chiave di Salomone, un grimorio cappreso con la Ceremonial Magic, per lo studioso Bryant il Necronomicon deriverebbe dal testo arabo di magia conosciuto come Picatrix. Comunque sia la sua origine la nuvola di ombre che si porta ancora dietro lo rendono uno dei misteri più accattivanti della letteratura.
La raccolta elefantiaca proposta da Mondadori è l'occasione per avere in un solo volume tutta la produzione del grande autore di Providence, che ha ispirato tantissimi autori (tra cui King, che gli ha reso omaggio in diverse occasioni), inventore di culti, incubi e mondi rovesciati in cui si riesce a entrare da una fessura, ma da cui non si esce mai più.
Quando finalmente la donna se ne andò, erano quasi le due e mezza del mattino. fuori dalla stazione di polizia di Crouch End, Tottenham Lane era un piccolo fiume morto. Londra dormiva... ma Londra non dorme mai profondamente, e i suoi sogni sono inquieti.
"Orrore a Crouch End" è una raccolta quasi introvabile, a meno che non si vada a caccia sul terreno dei mercatini online dell'usato, e contiene contributi di molti autori horror, sui quali svetta Stephen King il cui racconto dà il titolo al libro. E a ragione, perché è una delle storie brevi più interessanti dell'autore del Maine, omaggio a Lovecraft e al suo mondo sottosopra. Compaiono nella raccolta contributi di scrittori del calibro di Ramsey Campbell e Ted Klein.
Ricordati che le cose che ti entrano in testa poi ci restano per sempre, gli disse. Forse dovresti rifletterci. Però certe cose uno se le dimentica, no? Sì. Ci dimentichiamo le cose che vorremmo ricordare e ricordiamo quelle che vorremmo dimenticare.
Un padre e un figlio. Un uomo e un bambino. Davanti a loro la devastazione di un mondo in fumo, un mondo che non riuscirà più a guarire e che si è portato via l'amore degli uomini. Spingono un carrello con qualche coperta e alimenti. Camminano e continuano ad andare, verso il mare, cercando uno spicchio di luce che non ci sarà. Si stringono l'uno con l'altro, si riscaldano, l'uomo cerca di mettere al riparo il figlio dalla bruttura immensa di un mondo che si è spaccato mostrando i denti. Cormac Mc Carthy in questo romanzo mostra una tenerezza difficile da contenere con due occhi, con un coltello affilato affonda nel cuore del lettore sussurrandogli all'orecchio che andrà tutto bene. E tu ci credi. Nonostante tutto.
Tutti gli articoli di Good Morning Vietnam