Dalla gratitudine del dopoguerra ai timori odierni: come è cambiata la percezione dell’America in Occidente e quali rischi si aprono per l’Europa
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Gli avvenimenti consumatisi negli ultimi tempi sulla scena del mondo hanno prodotto in molte persone della mia età un certo sbigottimento. Eravamo vissuti per tanti anni con alcune certezze che da mesi, giorno dopo giorno, si stanno sfaldando fino a scomparire del tutto. Il riferimento è a due democrazie. Quella americana e quella israeliana che oggi, quasi in contemporanea, hanno perso ai nostri occhi la peculiarità di un sistema democratico e con essa il sottile fascino che in passato emanavano.
Oggi mi occuperò della prima, ricordando che quasi tutti noi italiani, indipendentemente dal credo politico, abbiamo sempre pensato che gli Stati Uniti d’America, intervenendo massicciamente nella seconda guerra mondiale, attraverso il sacrificio di molte migliaia di giovani vite, ci avessero salvato dal nazifascismo.
Ma la generosità americana non si era arrestata qui. In Italia si apprezzavano anche i rilevanti aiuti economici ricevuti nell’immediato dopoguerra da quel Paese lontano.
Il Piano Marshall che Alcide De Gasperi era riuscito a ottenere nel corso di un mitico viaggio oltre oceano, brillava in quegli anni nella fantasia dei nostri connazionali come la stella cometa del tempo. Quel generoso aiuto aveva saldato in maniera definitiva il legame tra Italia ed America. Un legame che prescindeva dal fatto che a guidare il Paese fosse un repubblicano o un democratico.
Non solo. Faccio qui una digressione personale che attingo alla mia memoria lontana. La consuetudine dell’Italia del Sud di ricevere nel dopoguerra singoli aiuti dai parenti emigrati in America era piuttosto diffusa. Non passava giorno che il componente di una famiglia, nella stagione povera e dorata della mia infanzia, non si recasse a sbirciare nell’ufficio postale del paese nella speranza di ricevere il mitico pacco dall’America. Per la fortunata famiglia ma anche per il rione, dove il gradito dono arrivava, l’evento si trasformava in una festa perché all’epoca la solidarietà tra persone povere, che condividevano lo stesso destino, era alta.
Esisteva infine un’assonanza di tipo ideologico e culturale che aveva reso davvero speciale il legame tra i due Paesi, cui ho appena accennato. La consapevolezza diffusa specie fra gli italiani più colti – il tasso di analfabetismo all’epoca era ancora alto – che l’Italia, dopo un ventennio di fascismo, fosse divenuta a sua volta una democrazia rendeva elettrizzante l’atmosfera del tempo. Come si evince dal numero di italiani che all’epoca andava a votare.
Certo l’America, tra i paesi democratici, deteneva un innegabile primato nel mondo, derivante dalla sua solida longevità ma anche dall’invincibile forza dei suoi contrappesi.
Oggi l’atmosfera appare del tutto mutata. Quell’alleanza tacita, sicura che l’America per circa 80 anni ha tenuto in vita con l’Europa democratica, Trump ha deciso in un batter d’occhio di dissolverla. Lo ha fatto però non da leader politico ma da commerciante al mercato del pesce. In verità tutta l’azione di Trump, da quando è tornato alla Casa Bianca, ha rotto con clamore la tradizione formale di garbo che rappresenta l’habitus istituzionale che chiunque guidi una nazione dovrebbe esibire. A maggior ragione chi guida il Paese più potente del mondo. In Trump invece non c’è un gesto, una frase - che si riferisca ai dazi, ai migranti, ai gay o ad altro ancora - che non trasudi violenza, rancore e menzogne. Gesti che il tycoon spesso compie attraverso il tentativo quotidiano del controllo della narrazione e la distorsione ormai sistematica della realtà. Naturalmente grande parte di tale distorsione si consuma sui social. Questo osceno teatro di bugie e di negatività che ha cambiato in forma radicale il sentire del mondo, di fatto semplificandolo a dismisura proprio nel momento in cui diventava complesso come non mai nella storia dell’umanità.
Esiste poi un altro elemento che inquieta nell’atteggiamento del tycoon. Trump sin da questo suo secondo ingresso alla Casa Bianca è apparso irresistibilmente attratto dagli illimitati poteri degli autocrati. Soprattutto da quelli di Putin. L’accoglienza riservatagli in Alaska è stata quella che si riserva ad un imperatore e nulla in politica tradisce l’asservimento psicologico quanto lo sfarzo dell’accoglienza. Si veda a tale proposito quella che lui stesso ha ricevuto di recente a Londra.
Un fatto è certo. La democrazia americana a Trump appare stretta, malgrado i repubblicani al Congresso traducano in voti ogni sua volontà e la Corte suprema fino a oggi è sia apparsa fin troppo docile. Questo quadro politicamente idilliaco per il presidente americano è turbato da alcuni recenti sondaggi che prevedono alle prossime elezioni di midterm la scomparsa della sua maggioranza al Congresso.
Non si riesce a immaginare a quel punto la reazione di Trump. Alcuni temono un gesto traumatico: l’annullamento delle elezioni. Forse, più realisticamente, si consumerà il tentativo di cambiare la Costituzione americana introducendo un terzo mandato. Un gigantesco trauma per gli Stati Uniti e per il mondo democratico dagli sviluppi imprevedibili, racchiuso in un interrogativo raggelante. Quale fine, a questo punto, farebbero le democrazie europee, a cominciare dalla Francia e dalla stessa Italia?

