L’inchiesta

‘Ndrangheta crotonese lacrime e sangue: dal potere sul territorio all’omicidio Sarcone

La Dda di Catanzaro individua in Domenico Megna il presunto boss dell'associazione mafiosa operante tra Crotone e Papanice. Tra i reati contestati anche il delitto di mafia avvenuto nel 2014

 

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di Antonio Alizzi
27 giugno 2023
12:12
Colpo di pistola
Colpo di pistola

Non solo politica e pubblica amministrazione nell'inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro in provincia di Crotone. L'indagine infatti riguarda anche la 'ndrangheta locale, riconducibile, secondo i carabinieri del Ros, alle famiglie Grande Aracri di Cutro, il cui "capo bastone" è Nicolino alias "Mano di Gomma" e Arena di Isola Capo Rizzuto. Così sarebbe strutturato il "locale" mafioso crotonese, la cui nascita sarebbe da addebitare, come hanno riferito più pentiti, a Nicolino Grande Aracri, le cui mire espansionistiche, dal punto di vista criminale, si estendevano anche nella Sila cosentina. Un obiettivo non tanto gradito al capo della 'ndrangheta cosentina, Francesco Patitucci, il quale si arrabbiò nel leggere su un giornale le conversazioni captate dagli investigatori nella tavernetta di Cutro, area della casa in cui "Mano di Gomma", si intratteneva con i suoi sodali.

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Nella nuova indagine, invece, si fa riferimento anche alla famiglia Megna. Nel capo d'accusa infatti si parla Domenico Megna, Mario Megna, Rosa Megna, nonché a Santa pace, Francesco Aracri, Salvatore Aracri, Gaetano Russo, Maurizio Del Poggetto, Cesare Carvelli, Sandro Oliverio Megna, Roberto Lumare, Luigi Nisticò, Mark Ulrich Goke, Salvatore Lumare, Pantaleone Laratta, Stefano Strini, Antonio Corbisieri, Enrico Moscogiuri, Pietro Curcio, Giacomo Pacenza, Francesco Carioti, Domenico Pace, Filippo Carrà, Francesco Ruggiero, Pantaleone Megna, Andrea Corrado, Carmine Stricagnoli, Giuseppe De Pasquale e Santo Raffaele Dattolo.


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I reati fine della presunta associazione mafiosa sono quelli relativi al commercio di droga, estorsioni, usura, furti, abusivo esercizio di attività finanziaria, riciclaggio, reimpiego d denaro di provenienza illecita in attività economiche, corruzione, favoreggiamento di latitanti, corruzione e coercizione elettorale, intestazione fittizia di beni, ricettazione e omicidi. Il territorio in cui opererebbe la cosca è quello di Crotone e Papanice, attraverso la forza intimidatrice del vincolo associativo e traendo vantaggi dalle condizioni di assoggettamento ed omertà della cittadinanza al controllo del territorio.

Per la Dda di Catanzaro, il promotore di questa presunta associazione mafiosa sarebbe Domenico Megna, il quale avrebbe deciso di investire il denaro "sporco" anche in provincia di Parma e in Lombardia, affiancato da Mario Megna e Santa Pace, ritenuti i contabili del presunto clan, dove far confluire i proventi illeciti nella "bacinella". I fatti contestati vanno dal 22 marzo del 2008, data in cui si verificò l'uccisione dei figlio di Domenico Megna, Luca Megna, fino all'attualità.

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L'omicidio di Salvatore Sarcone

La Dda di Catanzaro, nel procedimento penale in questione, contesta al presunto boss Domenico Megna, l'omicidio di Salvatore Sarcone, avvenuto il 9 settembre del 2014 a Crotone. Per gli investigatori antimafia, Megna sarebbe stato il mandante del delitto di mafia. Sconosciuti, allo stato, gli esecutori materiali. La vittima quel giorno fu attirato in una trappola, sparandogli due colpi di arma da fuoco calibro 38 alla testa. Il movente sarebbe da ricercare nel fatto che Sarcone avrebbe voluto affermare il suo potere criminale nella zona papanciaria , un luogo conosciuto anche agli esponenti della 'ndrangheta cosentina, come dimostrano le illustrazioni investigative presenti in "Reset", ponendosi da ostacolo alle iniziative criminali della consorteria di 'ndrangheta.

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