Appalti e massoneria, nell'inchiesta sparisce la contestazione di appartenenza a logge segrete

Originariamente la Procura di Paola aveva ipotizzato per alcuni indagati la violazione della legge Anselmi. Oggi le accuse sono cadute

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di Francesca  Lagatta
30 giugno 2021
17:23

In principio gli indagati dell'inchiesta della procura di Paola "Appalti e Massoneria" che promette di far tremare il Tirreno cosentino erano diciotto. Oggi, dopo cinque mesi, e la decisione di ieri di applicare sei misure cautelari, nel registro degli indagati i nomi scendono a sedici. Ma a ben guardare le carte non si tratta di una naturale selezione alla luce dei nuovi elementi di investigazione. Nei nuovi documenti, infatti, l'originario quadro accusatorio regge e si arricchisce di altri particolari riguardanti l'ipotesi di un "cartello" di professionisti dedito al turbamento delle gare e degli affidamenti pubblici, ma sparisce la contestazione della Legge Anselmi di cui erano stati chiamati a rispondere nel gennaio scorso tre persone, Luigi Cristoforo, Francesco Arcuri e Vincenzo Donato De Rosa. Il primo risulta ancora indagato nell'inchiesta e proprio ieri è stato raggiunto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari, ma solo per la sola vicenda dei presunti illeciti riguardanti gli appalti pubblici. Arcuri e De Rosa, invece, non sono più nell'elenco degli indagati. Per dovere di cronaca, bisogna segnalare l'uscita dall'inchiesta anche dell'imprenditore Gianfranco Amodeo, inizialmente indagato esclusivamente per il filone degli appalti pubblici, ma che dal primo momento aveva dichiarato la sua estraneità ai fatti contestati.

Le precedenti accuse

All'inizio per i professionisti Luigi Cristoforo e Francesco Arcuri la magistratura aveva ipotizzato l'appartenenza a una loggia massonica coperta, cioè segreta, dunque illegale perché in contrasto con l'articolo 18 della Costituzione italiana che vieta espressamente l'appartenenza a società occulte di cui, ad esempio, non si conoscono adepti, obiettivi e finalità. Il commerciante De Rosa, titolare di un bar a Scalea, era invece finito nell'inchiesta perché avrebbe messo a disposizione i locali della sua attività commerciale per le riunioni tra gli iscritti alla presunta loggia deviata.


L'appartenenza alla massoneria regolare

L'esito delle attuali indagini premia il lavoro dell'avvocato Francesco Liserre che all'epoca dell'interrogatorio di garanzia scelse una precisa strategia difensiva per il suo assistito Francesco Arcuri, che innanzi al Gip si avvalse della facoltà di non rispondere. Al tempo stesso, il legale fornì una fitta documentazione da cui si evince chiaramente che l'indagato è realmente iscritto a una loggia massonica, ma di quelle regolari e autorizzate che non perseguono alcun intento malevolo o segreto.

Le parole del procuratore Bruni

Il filone della massoneria sembrava però essere il perno dell'omonima inchiesta. E allora cosa è accaduto? Il magistrato Pierpaolo Bruni, intervistato durante la conferenza stampa di ieri, ha detto: «Come ricorderete, ci sono state delle perquisizioni e i sequestri di alcuni dispositivi, stiamo ricostruendo la vicenda in modo più preciso possibile soffermandoci al momento nell'ambito di un'associazione che avrebbe perpetrato reati contro la pubblica amministrazione. Attualmente non abbiamo elementi per chiedere misure cautelari in riferimento alla contestazione della legge Anselmi». Bruni, ovviamente, non lo dice, ma le sue parole potrebbe significare che al quinto piano del palazzo di giustizia di Paola non abbiano comunque smesso di indagare in quella direzione o che, addirittura, quella della presunta esistenza della loggia massonica deviata possa essere confluita in un filone di inchiesta a parte.

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