Inquinamento nella valle del Nicà

Discarica di Scala Coeli, ora tocca ai numeri. Legambiente: «Se i dati delle analisi ci sono perché non vengono resi pubblici?»

VIDEO | Ieri la società proprietaria dell'impianto ha rassicurato sui risultati degli esami effettuati. Ma intanto il presidente del circolo locale dell'associazione torna sul luogo del disastro e dice: «Vogliamo sapere se i carotaggi sono stati fatti e a che profondità». E le risposte si attendono anche dalla Regione Calabria 

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di Mariassunta Veneziano
6 agosto 2023
18:06

I passi affondano nel terreno dove fino a qualche giorno fa c’era un lago di percolato. Nicola Abruzzese, presidente del circolo Legambiente Nicà, torna per l’ennesima volta sul luogo del disastro ambientale deflagrato lo scorso 22 giugno. Cammina nel letto asciutto del fiume in cui il materiale fuoriuscito dalla discarica Pipino di Scala Coeli ha galleggiato per diverso tempo, prima che la società proprietaria dell’impianto, la Bieco srl, completasse le operazioni di aspirazione.

Tra le mani il telefonino in modalità video, come tante altre volte. «Guardate – dice – quanto terreno è stato rimaneggiato per rimettere a posto quel lago artificiale». Il percolato, si ricorderà, prima della sua rimozione era stato confinato in bacini temporanei creati con argini di terra. Adesso non c'è più, ma restano le domande. Cosa è successo nel tempo in cui i liquami sono rimasti lì? Sono penetrati nella falda? E in che quantità?


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La Bieco ieri ha rassicurato, dicendo di aver fatto il suo dovere nei tempi previsti, anzi, in «tempi record», di aver «ripristinato lo stato dei luoghi» e che le analisi effettuate hanno restituito risultati positivi. Dei quali però nulla si sa nello specifico.

«Cammino nel letto del Nicà che è stato tutto rimaneggiato», dice Abruzzese mentre i suoi piedi affondano sulle orme lasciate dai mezzi che qui hanno lavorato. «Vorremmo sapere – afferma – se il terreno qui sotto è stato analizzato e fino a quale profondità».

«Agricoltori, allevatori, cittadini, associazioni – continua – vogliono sapere: dopo il disastro ambientale del 22 giugno le soglie di contaminazione da percolato di discarica sono state superate? Il carotaggio del terreno, nel Patìa, nel Capoferro, è stato effettuato?».

Tutto fatto, dichiara la Bieco. E tutto a posto. Ma, continua a chiedersi Legambiente, «se è stato effettuato perché i dati non vengono resi pubblici?».

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Ma non è solo la società proprietaria della discarica a dover rispondere. In ballo c’è anche la Regione Calabria, dove si è tenuto il famoso tavolo tecnico in cui è stato reso noto il cronoprogramma degli interventi: dieci giorni per l’aspirazione del percolato, caratterizzazione del sito, bonifica. Conclusa la prima fase, del resto poco si sa.

Qual è lo stato del terreno dopo quello che è successo? Perché è successo: i 15mila metri cubi di percolato – 10mila sversati e 5mila aggiunti dall’azione delle acque sorgive – non sono un’invenzione da allarmismo ingiustificato, ma la quantità dichiarata dal dirigente del dipartimento Ambiente della Regione Calabria, Salvatore Siviglia. Che effetti ha creato la permanenza di questo materiale nell’area, un’area – ricordiamo – votata all’agricoltura biologica e all’allevamento?

«Qui hanno inventato un altro materiale: il conglomerato di percolato», ironizza Abruzzese, ponendo il dubbio che il terreno sul quale cammina sia «sabbia mista a pietre del Nicà mista a percolato». Un dubbio che i risultati delle analisi, a quanto pare già disponibili, potrebbero sciogliere definitivamente.

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Nelle immagini si vede pochissima acqua, quella, spiega il presidente del circolo Nicà, arrivata nel letto del fiume dopo la rottura degli argini nel Patia. Il resto è terra e qualche radice che spunta dal suolo: «Qui c’era vegetazione, c’erano alberi. Non cespugli, alberi – sottolinea l’esponente di Legambiente –, alberi estirpati».

E torna a chiedere «al presidente della Regione Roberto Occhiuto di revocare il decreto autorizzativo alla discarica di Pipino, perché questo territorio ha già dato, non si può permettere di subire altre eventuali situazioni come quella già accaduta».

Qui il discorso si fa più complesso e meno immediato. Di immediato potrebbe – e dovrebbe – esserci invece la divulgazione dei dati relativi alle analisi effettuate. E, società a parte, a dare risposte è chiamata la Regione. Per rassicurare non gli esponenti di una singola associazione, ma tanti cittadini di una fetta di Calabria che da un mese e mezzo non sanno bene cosa sia accaduto intorno a loro e cosa potrà accadere da adesso in poi. «Speriamo che qualcuno risponda», conclude, in un misto di speranza e disperazione, Nicola Abruzzese.

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