L’intervista

Il vescovo “politico” di Cosenza, monsignor Checchinato: «Per il bene comune bisogna schierarsi»

Si è insediato da pochi mesi ma ha già conquistato il cuore dei fedeli. Non ha paura di prendere posizione su temi caldi come l'Autonomia differenziata: «Solo la spazzatura si differenzia». Sull'immigrazione avverte: «Siamo tutti meticci. Contrastare questi fenomeni  è come cercare di opporsi alle maree». I matrimoni gay: «In chiesa no, in Comune sì perché i diritti devono essere di tutti» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Antonio Clausi e  Alessia Principe
21 giugno 2023
06:30

Un uomo di fede che conosce il valore del dubbio. Fedele ai dettami della chiesa, ma mai rigido nei confronti del prossimo. Monsignor Giovanni Checchinato, nuovo Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano, non è la rappresentazione del presule lontano dalla gente, arroccato in un Palazzo dorato, distante dalla strada. Ama stare in mezzo alla gente, a volte confondendosi tra i volti della città. Così, dice, non si perde il contatto con la vita, così - e cita Diogene - «cerco l'uomo». Ama il cinema di Moretti e se c'è da prendere posizioni su temi sociali non si gira dall'altra parte. 

Monsignor Checchinato, appena arrivato a Cosenza ha voluto subito incontrare i giovani. Ha detto loro: “Non smettete di sognare”. Ma cosa può sognare un ragazzo di Calabria o, più in generale, di un Sud così distante da standard moderni?
«La risposta più corretta dovrebbero darla loro, io sono allergico alla tentazione di rispondere per conto dei ragazzi. La distanza cronologica da quella fascia di età ormai per me si è fatta robusta. Ritengo che siano capaci di sognare, di desiderare e di sintonizzarsi sui valori della solidarietà e, più in generale, sui valori alti da attribuire alle cose. Diciamo la verità: noi siamo un po’ invadenti dandoci un tono da adulti e da super adulti. Da qui il mio invito a non spaventarsi, ma di pensare con la loro testa e con il loro cuore».


A proposito di Sud, le abbiamo dedicato il titolo dell’articolo sulla manifestazione contro l’Autonomia differenziata tenutasi a Cosenza due sabati fa. Ha colto nel segno, lo sa?
«“L’unica differenziata che mi piace è quella della raccolta della spazzatura” era uno slogan che avevo colto durante il corteo. Mi è piaciuto e l’ho rilanciato nel mio intervento».

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Scendere in piazza è stata una scelta politica?
«Sì, perché viviamo in un contesto comunitario e ogni nostra decisione è politica perché effettuata in funzione della polis e del bene comune. Ero lì e come prete non potevo che ribadire quanto la scrittura ci dice da migliaia di anni. Vale a dire che la terra è di Dio e che nessuno può pretendere di utilizzarla secondo i suoi criteri, diversi da quelli della distribuzione dei beni».

Alla Via Crucis ha sistemato gli scout e altri gruppi parrocchiali in prima fila. È d’accordo se affermiamo che la sua sfida sarà riuscire a interloquire con chi invece non frequenta le chiese?
«Certamente. L’attività degli scout e delle parrocchie non può essere autoreferenziale».

A San Severo, in un territorio dove la criminalità dilaga, era punto di riferimento per i ragazzi e fumo negli occhi per i clan. Ha mai avuto paura?
«No. Anche perché non ho avuto segnali chiari di intimidazione. Non sono un irresponsabile, quando ho esternato il mio pensiero sapevo che avrebbe potuto innescare una reazione nel cuore e nella mente di qualcuno. Si devono fare i conti con ciò che si dice e con ciò che si fa. Gesù Cristo non ha mai avuto paura di dire il suo pensiero e di provare a raggiungere la verità al cospetto dei suoi interlocutori».

A Cosenza, rispetto a Foggia, non si spara più. La malavita preferisce fare affari con i colletti bianchi. Queste dinamiche come si combattono?
«C’è una dimensione macroscopica rispetto alla criminalità che sono i fatti criminali oggettivi perseguibili secondo la legge. Poi c’è una dimensione meno evidente, ma non meno forte, che appartiene alla cultura e a una mentalità che dà possibilità al malaffare di prosperare. Come Chiesa siamo chiamati ad essere portatori di valori aderenti al Vangelo».

In che modo si può fare tutto ciò?
«Iniziando a costruire una mentalità e una cultura nuova con una buona comunicazione e con la reciprocità. Fondamentale è inoltre la cultura: è la strada principale per combattere questi mostri che tanto male fanno al nostro tempo».

Ieri si è celebrata la Giornata del rifugiato. Ad un recente convegno organizzato da Migrantes, riferendosi al ddl Cutro, lei disse “dobbiamo riscoprire il nostro meticciato”. Coraggiosa come affermazione, al netto della nuova narrazione politica che il governo sta cercando di imporre...
«Il concetto espresso è che nessuno di noi appartiene a qualche razza pura, come qualche signore di 100 anni fa si illudeva fosse. Quando dico che siamo tutti figli di meticciato, dico la verità legandomi a dati storici. A Cosenza abbiamo il fiume Busento, che io ricordo con antipatia perché da bambino dovetti imparare a memoria “la tomba del Busento” di Carducci. Alarico, re dei Visigoti, è morto qui e non era certo un ariano puro che veniva in pace. La logica fissista che ogni territorio esprima le proprie razze è falsa, storicamente falsa. Mettersi contro il fenomeno delle migrazioni è come mettersi contro le maree. Ma queste ci saranno sempre».

Ha accolto la croce realizzata con i resti del barchino naufragato a Cutro. Cosa rappresentano quei frammenti per Checchinato?
«Davanti a quella croce mi vengono i brividi. La baciai già durante la Via Crucis a margine dell’immane tragedia: quella croce rappresenta il fallimento dell’umanità, l’incapacità di riconoscere il volto di un fratello che ti chiede aiuto. Poi ci sono tante situazioni, più o meno condivisibili, legate alla politiche dell’accoglienza. Se tuo fratello ti chiede aiuto perché sta morendo, però, non puoi disinteressarti. È disumano».

Vox populi racconta che, in incognito, lei giri tra parrocchie e luoghi di ritrovo. Sembra una scena del film “Habemus papam” di Nanni Moretti. Cosa vorrebbe ascoltare?
«Innanzitutto fatemi dire che sono un fan, patito, di Nanni Moretti e ho visto qui a Cosenza il “Sol dell’Avvenire”. Non cercavo nulla, diciamo che mi piace camminare e la città offre tanti spazi verdi. Cito Diogene: cercavo l’uomo».

In “Habemus papam” la fede ad un certo punto vacilla, le è capitato?
«La fede non è un’assicurazione che si mette da parte come un buono fruttifero. È un’esperienza di relazione e quindi può succedere di tutto, anche entrare nel dubbio. Si può perderla e ritrovarla: non ci sono situazioni inconciliabili».

Chiesa e ospedali, cosa pensa dell’aborto?
«Non sono favorevole all’aborto perché ci troviamo dinanzi ad una scelta che penalizza un debole, perché oggettivamente parlando è così. Ci sono tante situazioni che non giustificano l’aborto, ma fanno capire che il tema dell’interruzione volontaria della gravidanza è complesso. La legge 194 si poneva nella sua struttura più profonda come una promozione della maternità e come un tentativo di rimuovere le cause che potevano portare una donna ad abortire. È un tema su cui ci sono tante sfumature e non solo buoni e cattivi».

In Calabria ci sono tante religioni, qual è il rapporto con le altre comunità? Ad esempio quella islamica chiede un cimitero dove poter officiare i riti e dare riposo ai propri defunti.
«Mi pare che appartenga ad una logica di rispetto e laicità dello Stato che come cristiani non possiamo che sostenere. Per le altre comunità va fatta una distinzione perché ci sono altre chiese cristiane con cui il rapporto è inevitabilmente di sintonia: mi riferisco alle chiese evangeliche ed ortodosse. Diversa è la situazione con il popolo dell’islam e con le altre religioni. I rapporti sono ugualmente cordiali, tanto che insieme abbiamo celebrato una preghiera per la pace e ci siamo incontrati dopo la fine del ramadam».

Eccellenza, ci sono politici che mi confidano di prendere appunti quando lei parla.
«Spero che li perdano!».

Lei è un Vescovo progressista, mi passi il termine e lo prenda come un forte complimento. Ha partecipato di recente ad una veglia per il superamento dell’omotransbifobia. Su questo tema perché c’è ancora riluttanza nella chiesa? L’amore, come dice papa Francesco, vince sempre oppure no?
«Anche su questo argomento bisogna stare attenti, perché gli slogan non dicono tutto. Ho dato la mia adesione alla veglia perché ogni discriminazione va abolita e noi abbiamo bisogno di ascoltare: è il primo dovere di un cristiano. Poi, si può essere d’accordo o meno, ma io mio chiedo come si faccia a essere d’accordo o meno con la vita di una persona».

Sposerebbe una coppia gay?
«Penso di no perché la struttura sacramentale della chiesa è legata fortemente al dato della tradizione contenuto nelle Sacre Scritture. Non avrei difficoltà a promuovere delle leggi statali con patti di alleanza o con delle espressioni, già presenti nella nostra legislazione, che permettano a coppie dello stesso sesso di vivere insieme sotto la tutela dello Stato stesso».

Giovanni Checchinato uomo, chi è?
«Chi lo sa! Nel mio profilo twitter c’è scritto: prete e contento».

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