L’intervista

Rinascita Scott, Giamborino assolto dalle accuse più gravi. Il suo legale: «Tanta amarezza per un metodo oscurantista»

Parla l'avvocato Enzo Belvedere, difensore dell'ex consigliere regionale del Pd per il quale erano stati chiesti 20 anni di carcere per associazione mafiosa: «I voli pindarici accusatori non hanno mai destato preoccupazioni, in appello cadrà anche l’imputazione di traffico di influenze»

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di Antonio Alizzi
21 novembre 2023
08:47
Pietro Giamborino
Pietro Giamborino

Una condanna che sa di assoluzione. Sembra un paradosso ma è la sintesi perfetta della storia giudiziaria di Pietro Giamborino, ex consigliere regionale del Pd, tra i 338 imputati del processo “Rinascita Scott”. La sentenza di primo grado emessa dal tribunale collegiale di Vibo Valentia suona come una vittoria. Il collegio giudicante ha infatti assolto il politico vibonese dai reati più gravi. Tradotto: Giamborino non ha aiutato la ‘ndrangheta vibonese né ne ha fatto parte. Una decisione forte e chiara che pesa come un macigno nel costrutto accusatorio visto che la Dda di Catanzaro aveva chiesto 20 anni di carcere. Ad oggi Giamborino è responsabile del reato di traffico d’influenze illecite (condanna a un anno e sei mesi senza l’aggravante mafiosa). Un reato che il Governo Meloni sarebbe intenzionato ad abolire insieme all’abuso d’ufficio. Chi ha lottato per dimostrare l’innocenza di Pietro Giamborino è senza dubbio l’avvocato Enzo Belvedere.

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Avvocato Belvedere, la sentenza di primo grado di “Rinascita Scott” ha escluso che il suo assistito abbia agito per favorire la ‘ndrangheta vibonese. È soddisfatto?
«La sentenza del tribunale di Vibo non solo ha escluso che la vita specchiata dell’uomo politico e dell’ottimo padre di famiglia Pietro Giamborino abbia mai potuto incrociare il suo cammino con qualsivoglia ipotesi di ‘ndrangheta, quanto ha categoricamente bocciato la bizzarra ipotesi di una molto presunta appartenenza, che era sorretta dal vuoto probatorio assoluto. Insomma, idee in libertà. Ça va sans dire, che la soddisfazione sia molta».


Rimane pendente però la condanna a un anno e sei mesi, seppur sia caduta l’aggravante mafiosa.
«Si, la montagna ha partorito un piccolo topolino. Residua una ipotesi di cosiddetto traffico di influenze, semplice, senza aggravante alcuna, ipotesi a suo tempo categoricamente esclusa, a livello di gravità indiziaria, dal tribunale della Libertà di Catanzaro. Il giudice di appello avrà una traccia facile da seguire per una pronta assoluzione anche da questo reato in “via d’estinzione”».

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Cosa rimane di questo processo?
«All’ottimo Pietro Giamborino tanta amarezza, soprattutto per una ingiustissima custodia cautelare subita. Troppo facilmente si infliggono punizioni preventive, che non reggono al vaglio giudiziario. Questo oscurantismo deve terminare per sempre. Il carcere, le misure cautelari tutte, sono una extrema ratio, ma, dalle nostre parti, da molti anni non sono più intese in questa maniera».

Cosa potrà cambiare in appello anche in relazione all’altro processo in corso a Cosenza?
«In appello si ribadirà l’assoluzione del segmento residuo. A Cosenza, l’accusa è stata già smentita dal vaglio dibattimentale».

Come ha vissuto questi anni di attesa il suo assistito? E qual è stata la prima cosa che ha detto dopo la sentenza?
«Sono stati anni di attesa in gran serenità, perché vi era la consapevolezza dell’agire nella piena liceità e nel totale rispetto del munus publicum, di volta in volta ricoperto da Giamborino. I voli pindarici accusatori non hanno mai destato preoccupazioni verune. Il fastidio, da difensore, è stato quello di dovermi occupare di un processo abnorme, sproporzionato per il numero delle persone coinvolte e per le innumerevoli ipotesi di reato, che va a discapito del diritto di difesa e della doverosa celerità del giudizio».

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