Romanzo infernale

«Porto una stella invisibile», i riti oscuri per scalare la gerarchia della ‘ndrangheta raccontati dal nuovo pentito cosentino

Le confessioni di Roberto Porcaro aggiornano anche le conoscenze degli investigatori in tema di simbolismi e liturgie seguite dai clan per promuovere i loro affiliati

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di Marco Cribari
23 giugno 2023
18:52

Un romanzo infernale e anche autobiografico sui riti e i simbolismi della criminalità organizzata. C’è anche questo nelle confessioni di Roberto Porcaro, l’ex boss cosentino che da alcuni mesi collabora con la giustizia. Le sue prime dichiarazioni sono state depositate agli atti dell’udienza preliminare di “Reset”, la maxi-inchiesta contro i clan bruzi – ben 205 gli imputati – di cui fino a poco tempo anche lui faceva parte. Uno di questi verbali è interamente dedicato al misticismo ’ndranghetista per come lo ha conosciuto il diretto interessato. Un tema su cui i magistrati della Dda hanno voluto soffermarsi a lungo poiché, attraverso il racconto della sua scalata ai vertici dell’organizzazione, hanno potuto aggiornare le loro conoscenze in tema di affiliazioni, battesimi e cerimoniali oscuri della mafia calabrese.

Le mani in faccia del santista

L’ascesa di Porcaro comincia nel 2012. Il suo è un inizio fulminante. Alla fine di quell’anno riceve in rapida successione le doti di picciotto, camorrista e sgarrista. A consacrarlo in quelle vesti è «Mario Gatto, durante un incontro in carcere sulle scale, tra il primo e il secondo piano». Battesimi fugaci, a differenza di quelli successivi che risulteranno più cerimoniosi. Per la “Santa”, ricevuta nel 2013, entrano in gioco Francesco Patitucci e i membri delle famiglie reggine. Da quel livello in su, infatti, la loro presenza nelle vesti di officianti è pressoché obbligatoria. Il santista Porcaro diviene tale ancora una volta in carcere, a passeggio nei pressi del campo da calcio per detenuti. «Mi è stato impresso un punto con uno spillo sull’anulare destro. La formula utilizzata richiamava i nomi di Garibaldi, del generale La Marmora e di Mazzini. Segno di riconoscimento: far scivolare la mano sul volto, dalle guance verso il mento».


Tre dita, poi quattro

L’anno successivo ottiene la dote di trequartino. È sempre Mario Gatto a promuoverlo tale in un appartamento di Villaggio Europa. Il salmo che accompagna la cerimonia recita così: «A nome dei tre cavalieri che intrecciarono spada e spadino, saggio compagno, è formato il trequartino». Il segno convenzionale adottato per comunicare agli altri sgamati davanti a loro c’è un pezzo grosso è semplice quanto essenziale: mano destra sul fianco sinistro con tre dita in bella mostra. Pollice e indice rigorosamente uniti. Stesso copione per il “quartino”, solo che le dita in evidenza sono quattro e non più tre.

Un bacio per il padrino

Pochi mesi ancora e arriva per lui il titolo di padrino. Ad assegnarglielo sono i reggini, ancora una volta dietro le sbarre. Prima di accettare, Porcaro sostiene di aver chiesto il via libera a Patitucci, ma a quel tempo il suo mentore è detenuto in regime di 41 bis. Impossibile comunicare con lui. A concedergli l’autorizzazione, dunque, sarebbe stato ancora una volta Mario Gatto. «Un bacio sulla fronte» è l’espressione utilizzata per salutare il suo ennesimo passo in avanti nella scala gerarchica.  Quando Patitucci torna in libertà, all’inizio del 2015, la ricorrenza coincide con un’ulteriore promozione. «Porto una stella invisibile sulla spalla sinistra» è la formula magica che accompagna l’ennesimo rito. Ha appena ottenuto la dote della “Stella”.

I 13 aghi di un Mammasantissima

Nel 2016 lo arrestano per l’omicidio di Luca Bruni, vicenda rispetto a cui sarà poi assolto. La sua permanenza in cella, però, è propizia per diventare un “crociato” della ‘ndrangheta. Da quel momento in poi, si presenterà agli altri con una semplice diagonale, muovendo il pollice dalla spalla sinistra in giù, fino al fianco destro. Ripeterà questo gesto per i successivi tre anni, quando è Michele Di Puppo a tracciare per lui un nuovo percorso di crescita. Per farlo, avrebbe chiesto prima il permesso a Michele Oppedisano da Rosarno. «Di Puppo era molto attento e ortodosso a seguire le regole di ‘ndrangheta», spiega il pentito. Lo ribattezza con poche e sentite parole: «Tre emme». In realtà avrebbe dovuto pungergli il costato con un ago per tredici volte, ma quel giorno il tempo è tiranno. E così, con una cerimonia sbrigativa, i clan cosentini salutano l’ingresso in scena del nuovo “Mammasantissima”.

Il cavaliere oscuro

Per qualcuno sarà solo folklore, per altri invece la forma è anche sostanza. La lunga marcia di Porcaro si interrompe nel 2021, durante un altro dei suoi brevi soggiorni carcerari. Stavolta è lui a sollecitare un nuovo avanzamento. Lo fa dopo aver conosciuto un uomo d’onore di Rizziconi che, ottenuto il placet da Rosarno, gli consegna la sua ultima dote di ‘ndrangheta che si è portato in giro fino al giorno del suo pentimento: quella del “cavaliere di cristo”. Gliela conferiscono quasi al volo, mentre è in corso la consegna dei pasti ai detenuti. Niente cantilene in sottofondo, ma il solito segno convenzionale che gli viene spiegato al volo: braccia incrociate sul petto, mano sinistra poggiata sulla spalla destra e viceversa.

Un livello superiore

«Questo è il livello criminale da me raggiunto» spiega Porcaro a margine dell’interrogatorio, indicando anche ulteriori doti, superiori alla sua, delle quali però ha sentito solo parlare in modo informale: «Corona, Crimine, Infinito, Bastone di Mosé. Non so indicarle in ordine d’importanza».  

 

 

 

 

Giornalista
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