365 giorni di conflitto

Il dolore degli ucraini in Calabria: «Morte e distruzione, un anno di guerra ha cambiato per sempre le nostre vite»

Un coro di sofferenza si leva anche dalla Calabria in occasione di questo drammatico anniversario. Tante le voci che raccontano l'angoscia di familiari lontani, nel paese di origine invaso da Putin. Mentre da Lugansk, adesso sotto l'ala russa, spira un vento di speranza (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Anna Foti
24 febbraio 2023
13:02

«Solo morte, distruzione e rabbia. Questo anno di guerra ha cambiato per sempre la vita degli ucraini che mai più potranno considerare fratelli, come fino a un anno fa accadeva, i russi». Ne è convinta Lena, cittadina ucraina che vive in Calabria da tempo. Crede che, anche quando le armi saranno deposte, resteranno una ferita profonda e un perdono impossibile da concedere.  Parlare di pace, a un anno dall'invasione russa dell'Ucraina, che il presidente russo Putin definisce ancora un'operazione militare speciale, oggi significa ammettere che essa dovrà fare i conti con una frattura difficilmente ricomponibile, con un'armonia andata in frantumi per sempre.

Qui amici e lì nemici

«Qui, lontani dalle nostre terre ferite, noi e i russi siamo persone che possono permettersi di vivere rapporti di amicizia. Ci proteggiamo, non parliamo di politica. Ma per chi è rimasto lì, vedendo i propri cari morire o vivere nel terrore, vedendo le proprie città distrutte, è tutto diverso. In loro la rabbia e il senso di tradimento hanno preso il sopravvento. Parlo costantemente con i miei amici di università e attraverso i loro occhi ho visto e vedo tutto ciò che accade e sento il dolore e la delusione cocente con i quali ogni giorno da un anno convivono. Non contava chi fosse ucraino e chi fosse russo. Ma questo era prima. Già adesso nulla è com'era. Nulla tornerà ad esserlo. Oggi i confini, prima solo contorni geografici, sono vere e proprie linee nemiche», racconta ancora Lena con profonda amarezza e preoccupazione.


Legami spezzati

Parlare di desiderio di pace comporta il peso di questa consapevolezza che certamente non favorirà alcun processo di riconciliazione. Una pace alla quale il mondo aspira ma che oggi si preannuncia difficilissima da conseguire, dopo una guerra che ha già spezzato vite e legami. Una guerra che ha cambiato per sempre il modo del popolo ucraino di considerare il popolo russo. Lo dicono molti cittadini della roccaforte un tempo russofona che era Kharkiv e che oggi si dichiarano solo ucraini.

Resistenza, desiderio di pace e condivisione

C'è chi crede che la resistenza ucraina alla lunga premierà e che questa guerra sarà vinta dal proprio paese. Ma c'è anche chi è stanco e attende solo che finisca, perché ormai troppo è stato già perduto. Se un vincitore ci sarà, avrà comunque perso molto per vincere. Intanto famiglie sono state distrutte, persone traumatizzate e assalite da angoscia e malattia, luoghi profanati, città un tempo bellissime rase al suolo. Donne e figlie che hanno lasciato padri e fratelli a combattere, rifugiandosi anche in Calabria, dove l'accoglienza e la solidarietà hanno scandito tutto l'anno. Una solidarietà che ha sostenuto la comunità ucraina che dalla nostra terra ha visto la tragedia infinita consumare la loro. Scuole e cittadinanza hanno manifestato in piazza per la Pace. Anche componenti della comunità russa qui si sono schierati accanto al popolo ucraino. 

24 febbraio 2022

Un anno fa Putin ordinava ai suoi generali di invadere l'Ucraina per assumere il comando di uno Stato indipendente. Uno Stato con l'aspirazione di entrare nella Nato e dunque di sottrarsi all'influenza russa. La resistenza ucraina, sostenuta militarmente da Europa e Stati Uniti, ha impedito fino a oggi che questo disegno si compisse. Ma è guerra sanguinosa, come tutte le guerre, che ha già causato quasi 7.200 civili e oltre in 11.750 feriti. L'Onu stima che il numero di vittime sia molto più alto. Una guerra che riporta indietro le lancette della storia di oltre settant'anni, che rischia di gettare l'Europa e non solo nell'abisso più profondo e tenebroso di una terza guerra mondiale.

Al concerto patriottico con cui Putin, allo stadio di Mosca, ha celebrato il primo anniversario dell'offensiva su Kiev. Lo ha fatto nella giornata dei difensori della patria che, per salvaguardare i loro confini, hanno violato quelli di uno Stato sovrano, l'Onu ha risposto con l'approvazione della risoluzione pro Kiev. Un atto simbolico per la pace giusta che rispetti l'integrità territoriale dell'Ucraina, e per il ritiro incondizionata di Mosca. Così mentre Putin continua ad agitare lo spettro delle armi nucleari, una maggioranza di 141 paesi, con i sette voti contrari di Siria, Bielorussia, Eritrea, Nord Corea, Nicaragua e il Mali e di 32 astenuti tra i quali pesano l'India ma soprattutto la Cina, si stringono attorno all'Ucraina. Si schierano con essa.

Una risoluzione che non potrà determinare la fine della guerra ma che ha un forte valore simbolico. «Questa è una potente testimonianza della solidarietà della comunità mondiale con il popolo ucraino nel contesto dell'anniversario dell'aggressione su vasta scala della federazione russa», ha commentato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Le sirene di una guerra infinita

Intanto la guerra imperversa. Dove non piovono più le bombe, si sente per ore il fragore le sirene. «Mia cugina vive a Kirovograd, vicino a KrivoiRog e Nicolaev, nell'Ucraina centrale. Lì all'inizio hanno bombardato aeroporto e ferrovie. Da tempo non bombardano più ma quelle sirene continuano a terrorizzare la popolazione. Si vive in un costante stato di allerta. Per ore risuonano quasi a indicare che questa guerra non finirà mai. Mia cugina non vuole più parlare della guerra. Non vuole parlare di qualcosa che sta subendo, senza sapere se e quando finirà, senza sapere se suo marito chiamato a combattere riuscirà a salvarsi. Anche le parole si sono stancate e io non chiedo più».

C'è un dolore che diventa sempre più profondo e sempre più silente perché questi dodici mesi sono stati lunghi e difficili, pieni di paura. E ancora non è finita.

Il timore di un'escalation

«Sento tutti i giorni mia madre che non vuole lasciare la sua casa nella martoriata Karkhiv in Ucraina orientale. In queste ore teme che questo tragico anniversario possa trasformarsi in un'occasione per Putin di bombardare ancora e più violentemente». La paura e il terrore non allentano la presa, mentre ogni giorno c'è sempre il rischio di restare al buio e al freddo, senza corrente elettrica.

Festeggiare una guerra?

«Com'è stato possibile che a Mosca abbiano celebrato l'arrivo di questa data con un concerto, con musica e bandiere festanti in uno stadio», se lo chiede indignata lei che vive in Calabria da tempo e che attraverso i racconti dei suoi familiari a Akhtyrka, città di resistenza vicino Kharkiv e Zhytomyr, sta vivendo da qui la guerra.

«Sono nata nella Russia sovietica per me parlare russo, leggere Dostoevskij, ascoltare Tchaikovsky e amare la scuola di balletto russo sono atti naturali come respirare. Abitudini e passioni che ancora coltivo nella mia vita in Calabria. Io sono ucraina ma insegno in lingua russa. Per è tutto naturale ma mi rendo conto che nel paese in cui sono nata potrebbe non esserlo mai più. Sentire quanto sta accadendo mi addolora. Qui in Calabria russi e ucraini vivono in pace mentre lì sono diventati nemici. Lì si osa festeggiare un attacco che sta insanguinando al mia terra di origine con la musica che come forma di arte mai e poi mai potrà essere asservita alla guerra».

Un popolo in guerra e due narrazioni

«Noi desideriamo la pace e siamo certi che potremo trovarla solo in Europa». Questo è stato sempre il pensiero espresso dalla comunità ucraina arrivata in Calabria dalla zona occidentale del paese. Un pensiero che adesso condividono anche molti ucraini residenti nella comunità ucraina orientale, inizialmente più convintamente russofoni, come per esempio gli abitanti di Kharkiv. Ma c'è anche chi resta fedele alla Russia e che non si sente di appartenere all'Europa della Nato e degli Stati Uniti.

La guerra in Donbass dal 2014

È il caso degli abitanti di Lugansk, nella regione del Donbass, in Ucraina orientale al confine con la Russia. Secondo la testimonianza di chi in quella zona è nato e ha vissuto la guerra era già iniziata nel 2014 a seguito al referendum con cui le repubbliche popolari di Doneck e Lugansk si erano unilateralmente proclamate autonome e indipendenti dall’Ucraina, pur insistendo sul suo territorio orientale. Sulla scia di quanto stava già avvenendo in Crimea, gli esiti di questa autoproclamazione e le tensioni con Putin degenerarono fino al conflitto armato. Il governo ucraino, contrario all’indipendenza e all’influenza russa su suoi territori, bombardò le città distruggendo tutto, nell'indifferenza e nel silenzio della comunità internazionale. Allora fu il governo ucraino a bombardare.

21 febbraio 2022

Un conto in sospeso, chiuso prima dell'invasione dell'Ucraina, il 21 febbraio 2022 quando Putin riconobbe le Repubbliche popolari del Donbass. «Adesso Lugansk, passata sotto l'ala russa, è stata liberata», ci raccontava nei mesi scorsi la giovane Iuliia, che ha lasciato, proprio nell’estate del 2014, la sua città di Lugansk sotto le bombe del governo ucraino che «non aveva riconosciuto l'indipendenza e che così aveva risposto alla nostra scelta di non essere da esso amministrata». Sono trascorsi 12 mesi anche da quel riconoscimento oltre da dall'avanzata dei carri armati in Ucraina.

Sempre e solo con la Russia

A distanza di un anno da tutto ciò, Iuliia non è tra coloro che hanno cambiato idea, anzi. «Sono e sarò sempre russa», dice e poi spiega: «Il popolo del Donbass, essendo ormai parte della Russia, si sente un pò più protetto. La pace e la serenità sembrano, tuttavia, ancora molto lontane. Finalmente, però, sono state aggiustate tantissime strade ed edifici distrutti sono stati ricostruiti. Ciò mi fa sperare ancora di più che la mia città non dovrebbe più essere colpita. C'è l'amarezza di alcuni rapporti anche strettamente personali che si sono incrinati per divergenze di vedute, tra vive in Donbass e chi in Ucraina, ma c'è anche la speranza. Vorrei tornarci, anche ora nonostante il pericolo. Non appena sarà possibile ci andrò. Spero con tutto il cuore di tornare nel Donbass pacifico e prospero». Così conclude Iuliia che vede, oltre tutto questo, un futuro per la sua terra violata dalla guerra già dal 2014.

Giornalista
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