’Ndrangheta

Rinascita Scott, i favori di Pittelli a “zio Luigi” Mancuso. Per i giudici l’avvocato «si attivava a ogni richiesta del boss»

Le motivazioni della condanna dell’ex parlamentare a 11 anni di reclusione. Avrebbe favorito la penetrazione della consorteria «in ogni settore della società civile». Nella ricerca dei verbali del pentito Mantella, il legale avrebbe «travalicato nettamente i limiti dell’incarico professionale»

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di Alessia Truzzolillo
20 maggio 2024
15:00
Giancarlo Pittelli
Giancarlo Pittelli

«Nel corso del dibattimento è emersa un’assoluta e sistematica messa a disposizione del Pittelli nei confronti dei membri del sodalizio criminale, soprattutto quando la richiesta di favori proveniva dal capo Luigi Mancuso», detto Zio Luigi. Lo scorso 20 novembre è stata pronunciata la sentenza del maxi processo Rinascita Scott che ha contato 207 condanne, su 338 imputati, tra capi e sodali delle cosche vibonesi.

Il collegio dei giudici – Brigida Cavasino presidente, giudici a latere Claudia Caputo e Germana Radice – ha inflitto 11 anni di reclusione nei confronti del penalista ed ex parlamentare Giancarlo Pittelli, accusato, tra le altre cose, di concorso esterno in associazione mafiosa.
I magistrati pongono l’accento in particolare sui rapporti tra l’avvocato Pittelli e il boss Luigi Mancuso a capo della cosca più longeva e potente del Vibonese.


«Luigi Mancuso sapeva di poter contare sulla fitta rete di Pittelli»

«Luigi Mancuso si rivolgeva a Pittelli sapendo di poter contare sulla fitta rete di relazioni del difensore, politico navigato, onde consolidare il radicamento e la forte penetrazione della ‘ndrangheta in ogni settore della società civile: nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nelle università, negli ospedali più rinomati, all’interno dei servizi segreti, nella politica, negli affari, nelle banche, così consentendo alla cosca Mancuso di rafforzare il proprio potere criminale».

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«E non è un caso – scrivono le giudici – che Mancuso, così come anche i Piromalli, si rivolgessero a Pittelli in maniera sistematica per risolvere le questioni più disparate, quand’anche legate a banali e necessariamente illecite contingenze; dalla richiesta di reperire il vino per la festa di laurea della figlia di Luigi Mancuso, alla necessità di assumere il mandato difensivo imprenditori vicini al capo quali Rocco Delfino, Alfonso Annunziata o Giuseppe Cosentino, Pittelli si è sempre mostrato disponibile a ogni richiesta del capo».

Gli incontri quando Mancuso era "irreperibile"

In sentenza si parla di «assoluta e sistematica messa a disposizione di Giancarlo Pittelli in favore del sodalizio».
«Non priva di rilievo è la circostanza che l’imputato riceva l’incarico di curare le questioni di interesse della consorteria direttamente dal più “autorevole” rappresentante di quest’ultima, Luigi Mancuso, capo indiscusso della locale di Limbadi, il quale lo convoca personalmente anche nel periodo in cui si rendeva “irreperibile” per sottrarsi alla sorveglianza speciale, e mostra di riporre piena fiducia nell’imputato, al quale, infatti ripetutamente affida la cura di questioni di interesse del sodalizio e il soddisfacimento di esigenze di quest’ultimo».

«Pittelli si attivava ad ogni richiesta»

E se Mancuso non esita a rivolgersi a Pittelli per ogni questione, Pittelli, dal canto suo, «si attiva ad ogni richiesta proveniente da Luigi Mancuso» fornendo alla cosca «un contributo causale determinante» così come avvenuto «in un momento di particolare fibrillazione, quale quello in cui si diffonde la inaspettata notizia della collaborazione con la giustizia di Andrea Mantella».

In questo caso la consorteria cercava informazioni su quello che Mantella stava dichiarando. Il dibattito è stato particolarmente caldo nel corso del processo tra l’accusa che ribadiva l’assoluta messa a disposizione dell’imputato per soddisfare l’esigenza della cosca, e di Luigi Mancuso in particolare, e la difesa che minava questa tesi sostenendo che il contributo di Pittelli fosse stato legittimo e professionale.

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Pittelli «ha travalicato i limiti dell’incarico professionale»

«Luigi Mancuso – è la sintesi del collegio – si rivolge a Giancarlo Pittelli consapevole di poter confidare sulla importante rete di relazioni dell’avvocato, il quale non esita ad attivarla prontamente a beneficio dell’associazione. Quest’ultima, dunque, attraverso il fondamentale apporto dell’imputato, riesce ad allungare i propri tentacoli, a raggiungere e ad insinuarsi abilmente all’interno delle istituzioni e dell’imprenditoria, ottenendo così ad esempio: l’intervento dell’agente della Dia di Catanzaro, Michele Marinaro, che in data 14 dicembre 2016 giungerà ad acquisire illegittimamente, sfruttando una situazione di apparente legalità, informazioni sul dichiarato del collaboratore Mantella ancora coperto da segreto istruttorio; l’aiuto del comandante provinciale dei carabinieri di Teramo, Giorgio Naselli, che terrà costantemente informato Pittelli sull’andamento della procedura amministrativa riguardante la società riconducibile a Rocco Delfino, di interesse della consorteria, e attraverso il quale Pittelli tenterà, pur non riuscendovi di “far decantare” la pratica; la disponibilità del magistrato della corte d’Appello di Catanzaro Marco Petrini che si impegnerà a “guardare con cura” la domanda di revocazione avanzata da Rocco Delfino pendente dinanzi al collegio giudicante dallo stesso presieduto; lo “spontaneo” asservimento degli imprenditori che intendono operare significativi investimenti sul territorio di competenza della cosca».
Una messe di esempi che, secondo le giudici, mette in evidenza come Pittelli abbia travalicato «nettamente i limiti dell’incarico professionale».

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