La storia

Da Palmi a Padova per curarsi: una storia di ordinaria fuga dalla sanità calabrese

La storia di Lilli e dei suoi vent’anni di lotta contro il cancro, prima a Padova e poi a Roma: «Nei primi 10 anni abbiamo speso 50 milioni di lire in viaggi e alberghi. Dopo la mia esperienza il confronto con gli ospedali calabresi è impietoso. Siamo in Italia, perché non dobbiamo avere tutti gli stessi servizi?» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Marcella Mastrobuono
16 aprile 2023
06:30

Lui è siciliano, di Messina. Lei calabrese di Palmi, provincia di Reggio Calabria. Dalle due estremità dello Stretto sono partiti e si sono incontrati a Padova. Sono quasi due facce della stessa medaglia, della stessa storia di emigrazione.

Lui, Francesco Pagano, laureato a Messina, è un famoso urologo, professore all’ospedale universitario di Padova. Lei è Lilli, che nel 1995 ha 33 anni e un cancro alla vescica. Ha fatto solo le analisi a Reggio, già i risultati dell’esame istologico devono arrivare da Bologna. Devono aspettarli per un mese e quando arrivano non hanno neanche un momento di esitazione. In Calabria no.


«A Palmi l’ospedale è chiuso da più di venticinque anni» racconta Lilli «quando ero bambina c’erano tanti reparti, poi lo hanno chiuso e ci hanno lasciati così, isolati. C’era tutto, mio padre qui ha avuto un importante intervento, aveva un tumore all’intestino. Oggi per ogni cosa, anche piccola, bisogna andare a Reggio Calabria». Quindi scelgono di andare a Padova, dove c’è un altro meridionale in fuga. Il professor Pagano.

La prima volta ci resta un mese intero per la terapia. Tornare giù é impensabile, Padova è a più di mille chilometri da casa. Lilli ci va in treno, con suo marito. Partono alle 20.30, viaggiano per tutta la notte e alle 9 del mattino sono in Veneto, pronti per andare in ospedale. E così per dieci anni, su e giù per l’Italia in un treno notturno, perché la malattia è lunga, piena di controlli e recidive.

«Non è stato facile, ma non ci siamo fidati a restare in Calabria» afferma Lilli. «Andare in aereo era impossibile, troppo costoso. E poi da Palmi bisogna anche fare scalo per arrivare a Padova».

Viaggiano sempre così anche con una bambina piccola perché, come la malattia, la vita va avanti e Lilli ha il suo terzo figlio mentre sta completando le cure a Padova. «Gli altri due bambini dovevano restare in Calabria, con mia sorella, ma la piccola dovevo allattarla, così me la portavo dietro in viaggio. L’aereo era veramente troppo costoso per noi. Abbiamo fatto un calcolo approssimativo. Nei dieci anni che mi sono curata a Padova abbiamo speso circa 50 milioni di lire solo per viaggi e alberghi».

La recidiva arriva dopo dieci anni, le cure sono pesanti, tengono la malattia a bada ma distruggono tutto quello che trovano intorno. A Roma, Lilli subisce un intervento di ricostruzione della vescica. Una complicatissima operazione di tredici ore: «Non so come sarebbe andata se fossi rimasta qui. Tutti quelli che conosco con il mio stesso problema sono andati a curarsi fuori».

«Anche per i controlli oggi vado a Roma. Qui in Calabria non siamo seguiti e non abbiamo le attrezzature. C’è sfiducia nella sanità calabrese. Soprattutto dopo l’esperienza a Padova e al Gemelli, dove il primario entra alle 7 del mattino ed esce alle 9 di sera, è impossibile fare un confronto con gli ospedali calabresi dove ho partorito, dove non c’era nessuna organizzazione. Avrei voluto restare in Calabria? Sì, certo. Ma solo se avessi avuto la stessa sicurezza, la stessa accoglienza. Siamo in italia, abbiamo un Sistema sanitario nazionale, paghiamo le stesse tasse. Perché noi non dobbiamo avere le stesse cose?».

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