L’intervista

Antonio Vullo, l’agente che scampò a Via d’Amelio: «Sull’agenda rossa di Borsellino c’è ancora da indagare»

VIDEO | A 31 anni dall'attentato che costò la vita al magistrato antimafia, parla uno dei componenti della sua scorta che sopravvisse alla bomba: «Ogni giorno ricordo quegli istanti» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Giusy Criscuolo
27 maggio 2023
06:30

Per Antonio Vullo il ricordo è ancora vivo. Non passa un giorno che lui non ricordi ciò che accadde. Il suo senso della giustizia non è mai terminato e la sua fame di verità, su ciò che avvenne nel periodo delle stragi, non è mai passata. Non è stato facile riuscire a parlarci, perché restio alle interviste. Sono 31 anni che Antonio Vullo come i familiari delle vittime aspettano ancora oggi risposte concrete.

Si dice stanco anche di questo ruolo di divulgatore, perché continuare a parlare significa rendere vivo costantemente il ricordo e con lui il dolore. Solo di una cosa non è sfiancato del fatto di riuscire a parlare ai giovani e alle scuole incontrandole proprio in Via D’Amelio dove il 19 luglio del 1992 il Giudice Paolo Borsellino e la sua scorta persero la vita per un vile attentato di stampo mafioso/terroristico compiuto da Cosa Nostra. Con rammarico parla di cambiamento, ma di un cambiamento che si è fatto sentire soprattutto nei primi anni subendo con il tempo un rallentamento. Deluso da come alcuni processi si siano conclusi, sottolinea come una parte di Stato non voglia che venga fuori la verità.


«È stato fatto tanto, ma ancora ci sono molte zone scure e molti personaggi che si dovrebbero intercettare perché sicuramente qualcosa di “difficile da trovare” c’è - facendo riferimento alle ultime sentenze che riguardavano la famosa agenda rossa del Giudice Borsellino -. Delle pecche ci sono e certi argomenti non sono stati valutati con il giusto riguardo».

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Ma Vullo nella nostra chiacchierata fuori dal microfono non parla solo del 1992, ma si riferisce a tutto ciò che accadde anche prima del ’92 anno che raggiunse il culmine del “peggio” che Cosa Nostra poteva fare. «Io ogni volta che vengo in via D’Amelio lascio infinita sofferenza. Parlare alle scuole è corretto ma ripetere sempre sfianca» dice Vullo. Questo perché una volta lasciato l’Ulivo, dove incontra le scuole e piantato nella via della strage, avverte la paura che il seme lanciato non attecchisca. «Perché la gente che lavora per la ricerca della verità a volte si trova davanti ad ostacoli che bloccano il progresso della verità e continuano ad avere il loro lavoro in salita. Quando sembra che si stia raggiungendo un traguardo si blocca tutto e questo è demotivante».

Ogni voce ha un suono e quella di Vullo trasmette ancora emozioni mai sopite, anche nel ricordo di ciò che accadde a partire dalla Strage di Capaci a ciò che lasciò il vuoto in Via D’Amelio.

«Io ricordo ogni giorno quel 19 luglio, ma non solo il 19 luglio, ma anche il 23 di maggio, perché siamo stati tra i primi ad arrivare sul luogo della Stage di Capaci. Già vedere quella scena e poi vede i colleghi tra cui uno che conoscevo da più di 20 anni come Vito Schifani. Vederlo in quelle condizioni – e con un sorriso amaro ripete – ‘vederlo’ perché poi non riuscivi a distinguere nulla» per poi interrompersi e passare al ricordo di Via D’Amelio con una voce tra il ferito e l’arrabbiato: «Quello in Via D’Amelio è un trauma che ancora adesso non si riesce a dimenticare. Io vengo spesso qui a parlare con i ragazzi… perché si spera di dare quel contributo che possa essere adeguato per il loro futuro perché queste storie non dovrebbero più succedere».

Alla domanda su cosa ricordasse di quel tragico 19 luglio, Vullo ricorda per primo i bei momenti trascorsi nella Villa di Carini con il Magistrato poco prima della tragedia: «Ricordo tutto quello che ho vissuto qui. Quel momento a Villagrazia di Carini nell'abitazione estiva del giudice, momenti e ricordi gioiosi perché c'è stato un momento grazioso che abbiamo vissuto insieme in quell'oretta che siamo rimasti lì e poi, purtroppo, il piede mozzato che ho trovato sotto il mio piede, riconoscendo la scarpa che era quella di Claudio Traina che era in macchina con me. Pezzi di carne ovunque ma io speravo di trovarli ancora vivi. Mi hanno bloccato…» continuando un racconto che, lasciato dalla sua voce, ancora emozionata e mette i brividi.

Giornalista
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