’Ndrangheta

Ergastolano calabrese da estradare ma la Germania non si fida delle carceri italiane: «C’è il bagno in cella?»

Le diciassette domande rivolte dai giudici tedeschi alla Procura generale di Catanzaro per sincerarsi che una volta rimpatriato Valerio Salvatore Crivello non sia sottoposto a condizioni carcerarie «inumane e degradanti»

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di Marco Cribari
3 dicembre 2023
15:30

Valerio Salvatore Crivello alias “Il palermitano”, 44 anni, sarà estradato dalla Germania solo previa dimostrazione che ad attenderlo, in Italia, non vi siano condizioni carcerarie «inumane e degradanti». È la motivazione con cui i giudici tedeschi hanno bloccato il rimpatrio dell’ex latitante originario di Paola (Cs), già riconosciuto colpevole di un omicidio di ‘ndrangheta, quello di Pietro Serpa, avvenuto nel 2003.

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Seppur condannato in via definitiva all’ergastolo il 20 novembre del 2020, Crivello era riuscito a sottrarsi all’arresto in circostanze rocambolesche, rendendosi invisibile per i successivi tre anni. Gli investigatori lo acciufferanno poi nello stato dello Schleswig-Holstein, al confine con la Danimarca, dove si nascondeva sotto mentite spoglie. Lavorava in una struttura alberghiera della città di Keitum e stava anche per sposarsi, ma il 5 settembre del 2023 il blitz dell’Interpol manda all'aria i suoi piani.


A quel punto, la sua estradizione sembrava solo una formalità. Alla richiesta delle autorità italiane, infatti, si associa subito il parere favorevole della Procura generale tedesca, quasi un preludio al via libera del Tribunale che, invece, non arriverà. A indurre i giudici a «escludere la prospettiva di una rapida decisione» sono stati i difensori di Crivello - l’avvocato cosentino Alessandra Adamo e il suo collega tedesco Christopher Scharf con un ricorso incentrato proprio sul rischio che il nostro sistema penitenziario non sia pronto ad accogliere anche il loro cliente.

Il problema del sovraffollamento, le emergenze sanitarie, lo scarso personale in servizio negli istituti di pena, sono alcune delle criticità evidenziate dai due legali. A ciò si aggiunge poi il focus sul trattamento sanzionatorio tutto italiano - l’ergastolo ostativo, le aggravanti mafiose e il il periodo di isolamento diurno - già censurato dalla Corte europea. Il risultato è che i giudici dello Schweing-Holstein hanno dato ampio credito a queste tesi, tanto da predisporre un vero e proprio questionario per sottoporlo alla Procura generale di Catanzaro.

Diciassette domande in tutto, molte delle quali destinate a suscitare più di qualche imbarazzo.  Tra le altre, si chiede di specificare se la cella di Crivello sarà singola o condivisa, quanto sarà grande questa cella e se i servizi igienici «siano inclusi oltre che separati dalla vista altrui».

E ancora: temperatura e ventilazione a che livello saranno? Il detenuto potrà lavorare in carcere? Avrà accesso a tv e giornali? Gli esercizi all’aria aperta saranno consentiti? Quanti pasti riceverà giornalmente? E così via. Quesiti che tradiscono ancora una volta la percezione che si ha all’estero del nostro sistema Giustizia, con particolare riferimento all’ordinamento penitenziario. Percezione, va da sé, tutt’altro che lusinghiera. Che si tratti di diffidenze giustificate o no, sarà la Procura generale di Catanzaro a dirlo. Nell’attesa, vige una certezza: che le domande non sono mai indiscrete. Le risposte, a volte .

Dopo l’arresto, Crivello ha rilasciato dichiarazioni spontanee, spiegando di essersi dato alla macchia per sfuggire a quella che riteneva «una sentenza ingiusta». L’uomo, infatti, si professa innocente. Sostiene di non aver commesso quell’omicidio. Dalla sua, tra le altre cose, ci sarebbero uno stub, eseguito nell’immediatezza e dall’esito negativo, le dichiarazioni controverse di alcuni pentiti e il mancato esame in aula di un testimone. Per far riaprire il suo processo, l’avvocato Adamo si è rivolta alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Il ricorso è ancora pendente.

Quanto controverso sia il tema estradizione e dintorni alle nostre latitudini, lo dimostra un’altra vicenda che riguarda la Francia, passando ancora dalla Calabria: quella di Edgardo Greco, già affiliato del clan Perna-Pranno di Cosenza arrestato a Saint-Etienne lo scorso febbraio dopo una latitanza quasi ventennale. Anche lui stava fuggendo da una condanna all’ergastolo incassata per un delitto di mafia commesso negli anni Novanta e la sua estradizione, inizialmente stoppata da un errore procedurale, è ancora in sospeso a causa dell’opposizione del difensore francese. Pure in questo caso, a ispirare la sua contrarietà è la profonda sfiducia nei confronti dell’ordinamento giudiziario italiano. A dirimere la questione in modo definitivo, il prossimo 5 dicembre, sarà la Corte di Cassazione transalpina.  

Giornalista
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