Doloroso déjà vu

Pollino, montagna bella e dannata: dopo la morte di Denise la mente torna alla tragedia del Raganello

VIDEO | Il ritrovamento del corpo senza vita della 19enne di Rizziconi riporta inevitabilmente alla memoria quanto accaduto il 20 agosto 2018, quando un’onda di piena del torrente sull’altro versante del massiccio travolse e uccise dieci escursionisti (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Mariassunta Veneziano
2 giugno 2023
06:30

Abbiamo cercato di non pensarci, per tutto il tempo delle ricerche abbiamo distolto lo sguardo dall’altro versante del Pollino. Lì, tra le gole del Raganello, dove se ne sta appollaiato il fantasma di un’estate di cinque anni fa, quando altri come Denise Galatà, attesi a casa con il bagaglio di una bella esperienza da raccontare, da quella esperienza non fecero più ritorno.

I dieci volti della tragedia

Erano in dieci: nove escursionisti e una guida esperta. Antonio De Rasis era anche un volontario della Protezione civile: in prima linea a Rigopiano, in prima linea nell’Abruzzo colpito dal terremoto, in prima linea quel 20 agosto 2018, quando usò il poco tempo concessogli dalla catastrofe imminente per mettere in salvo gli altri, così come era abituato a fare, non risparmiandone abbastanza per salvare se stesso. Morì così, tra quelle montagne che tanto amava, a 32 anni, scaraventando nel lutto l’intera comunità di Cerchiara che lo aveva visto crescere fino a diventare, suo malgrado, un eroe.


Erano partiti in due gruppi, poco più di 40 persone giunte da altre parti d’Italia per conoscere le meraviglie dell’estremo nord calabrese, luoghi di confine dove tradizione e natura hanno creato un equilibrio perfetto, il sodalizio giusto per i tanti che, soprattutto in estate ma non solo, qui vengono per una vacanza spettinata, nella bellezza selvaggia e antica del Pollino. Avevano tra i 27 e i 55 anni le vittime. La più giovane si chiamava Myriam Mezzolla, era arrivata dalla Puglia con la sua amica del cuore Claudia Giampietro, facevano le ballerine. E poi Antonio Santopaolo e Carmen Tammaro, marito e moglie, i fidanzati Carlo Maurici e Valentina Venditti, e ancora Gianfranco Fumarola, Maria Immacolata Marrazzo, Paola Romagnoli.

I loro volti, sorridenti nelle foto in cui avevano ancora la vita davanti, compongono il mosaico di una tragedia scavata nelle rocce di questo posto, con la stessa forza di quell’acqua che li travolse non lasciando loro scampo. Un temporale estivo che gonfiò il torrente fino a renderlo un mostro di fango, una burrasca fuori stagione di quelle che all’improvviso scacciano il sole per poi riportarlo di nuovo al suo posto, splendente più di prima. Solo che a Civita, dove il dramma si è consumato, ai piedi di quel ponte del Diavolo che assieme alle case Kodra è l’attrazione principale di questo paesino di 800 abitanti incastonato nel Parco del Pollino, il sole non è più tornato a splendere come prima.

Il Raganello e il Lao: due cicatrici tra le montagne

La vita è andata avanti, incessante come l’acqua che fluisce nel letto tra le gole, ma il fantasma dell’estate 2018 è ancora appollaiato lì e di nuovo siamo stati costretti a guardarlo negli occhi. Occhi che raccontano di quell’onda di piena che, prepotente e arrogante come tutti gli ospiti indesiderati, trascinò con sé i corpi degli escursionisti per poi restituirli ormai esanimi.

Il canyoning allora come il rafting adesso, il divertimento di qualche ora che in pochi secondi si porta via ricordi e progetti, preoccupazioni e sogni, una vita intera. Quella di Denise Galatà e dei dieci partiti in un giorno di agosto di 5 anni fa e mai più tornati indietro.  

Il Raganello come il Lao: due ferite scavate tra le rocce del Pollino, due solchi tortuosi nella montagna dove l’acqua continua a scorrere, indifferente e inarrestabile ma meno limpida, oltraggiata dal marchio infame della disgrazia. Dinamiche diverse per uno stesso cordoglio: ieri come oggi lo strazio di famiglie e amici, di un’intera Calabria che fino all’ultimo è rimasta a sperare che nulla fosse come sembrava e che, in quest’attesa di una nuova estate che sembra non volerne sapere di arrivare, se ne sta avvolta nel suo lutto a fissare l’acqua che scorre, implacabile come il dolore, in quelle ferite tra le rocce, destinate a diventare cicatrici incise nella pelle di queste montagne tanto belle quanto dannate.

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