Violenza sulle donne

Case rifugio, accoglienza solo per chi ha la residenza in Calabria. Malinteso o scivolone della Regione?

L'indicazione è contenuta in una comunicazione del Dipartimento Lavoro e Welfare ai responsabili degli Uffici di Piano dei Comuni. L'associazione Mondiversi in una lettera rileva quella che sembra un'anomalia in contrasto con diverse norme. Mentre si stanno già verificando situazioni difficilmente gestibili (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Mariassunta Veneziano
29 marzo 2023
16:45

La doccia fredda è arrivata il 20 gennaio con una comunicazione della Direzione generale del Dipartimento Lavoro e Welfare della Regione Calabria, che informa delle due delibere di Giunta con le quali sono state apportate modifiche al regolamento sulle “Procedure di autorizzazione, accreditamento e vigilanza delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale socio assistenziali, nonché dei servizi domiciliari, territoriali e di prossimità”. Ad agitare gli animi di chi si occupa di assistenza agli altri è stata quella «indicazione agli ambiti territoriali, ai sensi dell’art. 3 comma 5 della legge regionale 23/2003, che, a decorrere dal primo gennaio 2023, il Comune tenuto all’assistenza dei soggetti di cui al comma 1 dello stesso articolo 3, è identificato facendo riferimento al Comune di residenza».

Una comunicazione che, nel migliore dei casi, è scritta male e nel peggiore volutamente ignora il resto della legge regionale a cui fa riferimento, oltre a una serie di norme nazionali e internazionali. A sollevare la questione è l’associazione Mondiversi, che opera da anni a Corigliano-Rossano, dove gestisce – oltre al centro antiviolenza Fabiana – due case rifugio per donne e minori in fuga da situazioni di pericolo.


Senza residenza e senza diritti?

«Questa circolare dà un’indicazione agli Uffici di Piano dei Comuni, dove vengono gestiti i fondi destinati ai servizi socioassistenziali, che crea situazioni per noi insostenibili», denuncia il presidente di Mondiversi Antonio Gioiello. L’anomalia riscontrata è stata prontamente segnalata con una lettera inviata il 2 febbraio all’assessore regionale alle Politiche sociali e alla stessa direzione del Dipartimento. «Sembrerebbero quindi esclusi dal Sistema integrato degli interventi sociali della Regione tutti i soggetti che non abbiano residenza in un Comune della Calabria. E così gli Uffici di Piano della Calabria si stanno orientando», vi si legge.

Un malinteso o cos’altro? Secondo il Dipartimento regionale l’indicazione data ha il «fine di garantire il raggiungimento dell’equa distribuzione sul territorio dei servizi». Ma di equo c’è ben poco, secondo l’associazione che a fronte delle sue “rimostranze” scritte non ha ottenuto finora alcun chiarimento.

Ed ecco chi sono i «soggetti» a cui si riferisce la comunicazione, così come riporta testualmente la citata legge regionale: «Hanno diritto ad accedere alle prestazioni e ai servizi del sistema integrato, sulla base della valutazione del bisogno personale e familiare, secondo le norme di cui alla presente legge, indipendentemente dalle condizioni economiche: a) i cittadini italiani; b) i cittadini dell’Unione europea, nel rispetto degli accordi internazionali vigenti; c) gli apolidi e gli stranieri di cui all’articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”».

«Al fine della corretta applicazione delle suindicate disposizioni – scrive il Dipartimento Lavoro e Welfare –, si sottolinea la necessità che codesti uffici di Piano procedano con somma urgenza all’individuazione della residenza di tutti gli ospiti delle strutture socio assistenziali presenti sul territorio di competenza dell’ambito, al fine di rilevare i soggetti NON residenti nel proprio ambito».

Ostacoli all’accoglienza

«Questa interpretazione della norma sui soggetti aventi “diritto alle prestazioni”, che non dà accesso al Sistema dei Servizi Sociali della Regione alle donne vittime di violenza e loro figli senza residenza in Calabria, e specificamente dall’assistenza nelle case rifugio previste dal Regolamento 22/2019», scrive l’associazione Mondiversi, è in contrasto in primis con gli altri due commi della stessa legge 23/2003, secondo cui hanno diritto all’assistenza non solo i residenti in altre regioni ma anche «persone occasionalmente presenti o temporaneamente dimoranti sul territorio regionale». Lo stesso comma 5 già citato, precisa Gioiello, «prevede che il Comune tenuto all’assistenza di queste persone è quello nel cui territorio si è manifestata la necessità di intervento».

«Quando ci troviamo in situazioni di questo tipo, e sono tantissime, non sappiamo come fare», rimarca il presidente di Mondiversi. Che «in situazioni di questo tipo» si è già trovato. «È arrivata qui da noi una ragazza da un comune che rientra nell’ambito territoriale di Cosenza, ma è straniera e non ha residenza in Calabria. In base a questa comunicazione nessuno è responsabile dell’assistenza a cui ha diritto. Stiamo cercando di farle avere noi la residenza».

Ma la circolare del Dipartimento, secondo quanto denuncia l’associazione nella sua lettera, contrasta anche con altre norme come l’articolo 4 della Convenzione di Instanbul, l’articolo 6 della legge regionale 20/2007 su centri antiviolenza e strutture di accoglienza, l’articolo 8 dell’accordo Stato-Regione sulle case rifugio.

Un problema per realtà come Mondiversi che, nonostante le risorse limitate a disposizione, non possono venir meno alla loro mission che è quella dell’accoglienza. Gioiello parla di un altro caso, quello di una donna che ha vissuto per un periodo in Francia. «Ora si è trasferita a Corigliano-Rossano – racconta – ma mentre lei ha la residenza qui i suoi figli sono residenti in Francia. Il Comune paga per lei ma non per i suoi figli. Che dovremmo fare, lasciarli a spasso?».

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