Inchiesta di Crotone

Il porto degli squali, ecco come il clan Farao-Maricola ha dominato il settore ittico a Cirò Marina

Dalle indagini della Dda di Catanzaro emerge un vero e proprio pantano di prepotenze e intimidazioni che aveva steso una cappa di malaffare su tutte le attività portuali della cittadina jonica (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Vincenzo Imperitura
16 febbraio 2023
20:00

«È un vomito… un degrado di cristiano… la prossima volta che lavora in questa maniera… mi prendo zio Totonno e gli faccio fare una strungiuta». Lo scatto d’ira che vede protagonista Giorgio Pucci – imprenditore inizialmente estraneo agli ambienti criminali e che sarebbe stato reclutato dal clan all’indomani degli arresti seguiti all’indagine Stige per mandare avanti gli affari della cosca al porto di Cirò – contro un pescatore “reo” di essersi permesso di vendere parte del proprio pescato ad un altro grossista, rende l’idea di quanto pesasse la mano dei Farao-Maricola sulle banchine del porto di Cirò Marina.

Tutto, ipotizzano le indagini della distrettuale antimafia di Catanzaro, doveva passare da loro: i carichi di pesce da vendere e da acquistare, le forniture di esca e ghiaccio, il pizzo sui rimessaggi e sugli ormeggi, persino gli orari per le battuta di pesca da indicare ai lavoratori privati e il gasolio a prezzo agevolato da stornare ai marittimi e da rivendere sottobanco a prezzo maggiorato. Un pantano di prepotenze e intimidazioni che aveva steso una cappa di malaffare su tutte le attività portuali della cittadina jonica. Due i gruppi che muovevano le fila di una delle marinerie più importanti in regione individuati dagli inquirenti: uno che fa capo ad Antonio Crugliano, l’altro che risponde a suo figlio Francesco, entrambi coinvolti in attività che di fatto avrebbero «monopolizzato il settore ittico, acquistando il pescato all’ingrosso (da pescatori e pescherie) ai prezzi decisi dagli indagati medesimi e rivendendolo a prezzi maggiorati sia a ristoratori e commercianti della Calabria, che a commercianti all’ingrosso di Sicilia, Campania Lazio e Grecia». Il porto di Cirò era affare loro, ipotizzano i magistrati «senza che i pescatori locali abbiano potuto in alcun modo opporsi».


A chiarire come, nonostante le tante indagini giudiziarie sfociate in montagne di arresti e secoli di carcere, fossero sempre gli uomini della Locale di Cirò a dettare le regole e a farle rispettare, era stato il collaboratore di giustizia Giuseppe Farao: «Il porto di Cirò Marina è in tutto e per tutto controllato dagli uomini dei Farao con la compiacenza dei sindaci e dei vari componenti dell’amministrazione comunale che nel tempo di sono succeduti – mette a verbale il collaboratore di giustizia nell’interrogatorio del 17 gennaio del 2018 – quando parlo del controllo del porto voglio dire che gli uomini della cosca designati al controllo monopolizzano ogni servizio portuale».

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Un controllo asfissiante, continuo, feroce. Una cappa in grado di condizionare, con la violenza e la paura, un intero settore economico, preda di un gruppo che quello settore lo aveva trasformato nella propria personale riserva. Con tanti saluti alle decine di lavoratori che ogni giorni rischiano la vita per mare. E a chi provava ad alzare la testa, ritorsioni su ritorsioni. Come nel caso di un pescatore che, provando a sfuggire al monopolio del clan, aveva tentato di continuare a vendere il proprio prodotto alla pescheria a cui si era sempre rivolto. Tentativo che gli costò l’incendio del furgone: «Come avviene solitamente nel nostro ambiente – racconta un pescatore sentito a sommarie informazioni rispetto all’episodio dell’incendio al mezzo del collega marittimo – alcuni soggetti noti nella nostra comunità, tra cui Alessandro Nigro e Francesco Crugliano, che quotidianamente si recano dai vari pescatori pretendendo decine di chili tra il migliore pescato, non tengono conto né del valore di mercato del prodotto né degli accordi tra pescatore e pescheria. Quindi è molto probabile che il danneggiamento della macchina sia collegabile al rifiuto di fornire una parte del pescato a questa gente che tutti conosciamo per i trascorsi soprattutto dei loro padri». Il copione è sempre il medesimo, il sistema utilizzato anche: «Loro non ti minacciano espressamente ma ti lasciano con il dubbio che potrà succedere qualcosa, contando sul fatto che tutti li conosciamo e sappiamo bene i loro trascorsi».

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