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Comuni sciolti per mafia, il caso Bari rilancia il record della Calabria: dal 1991 sono 133, il 34% del totale nazionale

In nessuna altra regione un tasso così alto di infiltrazione della criminalità organizzata. Ma aumentano le richieste di una riforma della normativa per consentire un vero contraddittorio con gli amministratori

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di Massimo Clausi
22 marzo 2024
10:15

Le lacrime di Antonio Decaro, sindaco di Bari in scadenza, hanno riacceso i riflettori sulla legge relativa allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. In realtà è da tempo che si discute di una riforma della legge, risalente al 1991, che appare lacunosa sotto diversi aspetti a partire dalla mancata previsione di un contraddittorio con gli amministratori sottoposti al procedimento.

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Il punto è che Decaro ha gridato alla manovra politica da parte del centrodestra che cercherebbe di fermare il centrosinistra per via giudiziaria laddove non arriva politicamente (a Bari si vota fra tre mesi e il centrodestra è ancora senza un candidato). Insomma la vicenda si è trasformata nel solito match di calcio con tifosi da una parte e dall’altra.


Nel dibattito si sono anche inseriti i sindaci delle principali città calabresi ovvero Franz Caruso, penalista e sindaco di Cosenza, Nicola Fiorita, docente Unical e sindaco di Catanzaro e Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria. Non è un caso se proprio dalla Calabria si sono levate le critiche quasi unanimi su quanto sta accadendo a Bari. La nostra, infatti, è la regione con la più alta percentuale di comuni sciolti per mafia.

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I dati dicono che sono stati 383 i comuni sciolti per mafia dal 1991 ad oggi. A detenere il record negativo è la Regione Calabria (con 133 scioglimenti), seguita da Campania (117) e Sicilia (92). In termini percentuali in questa poco lusinghiera classifica la Calabria ha il 34% dei comuni sciolti in Italia per mafia, la Campania il 30,5%; la Sicilia il 24,03 e la Puglia il 6,7%. Tutte le altre regioni messe insieme totalizzano invece il 3,9% con territori a zero scioglimento come Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Toscana, Trentino Alto-Adige, Umbria e Veneto.

Insomma vista da quest’ottica, sembra quasi un’altra questione meridionale. Non a caso i tre sindaci calabresi nelle loro note dicono che l’eventuale scioglimento di Bari si legherebbe in parte con la critica di Decaro all’autonomia differenziata, dall’altro sarebbe un duro colpo per tutto il Meridione.

Il paradosso è che l’Anci calabrese, in passato, aveva più volte scritto allo stesso Decaro nella sua qualità di presidente nazionale Anci sulla questione chiedendo di fare pressioni sulla politica per una riforma della normativa, ma senza successo. L’attuale presidente dell’Anci Calabria, la forzista Rosaria Succurro, al momento, non è intervenuta sulla vicenda. Detto questo, molto si sta muovendo intorno al tema, anche al di fuori dei confini calabresi. 

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È nata, ad esempio, un’associazione politico culturale dal nome significativo: “Giù le mani dai sindaci”. Questa ha prodotto un documento in cui si parte proprio dalla vicenda di Bari per dire che serve una riforma urgente. «È urgente trovare un equilibrio tra la protezione dei diritti individuali, la certezza del diritto e la promozione di valori come trasparenza, equità e rispetto dei diritti fondamentali, soprattutto nelle realtà complesse del Sud Italia - si legge in una nota - Non possiamo più tollerare l'abuso arbitrario di una normativa che consente lo scioglimento di un comune su basi così fragili e inconsistenti, se non addirittura inesistenti. Questo non solo mina la democrazia, ma danneggia significativamente l'intero Mezzogiorno. Tale disposizione potrebbe scoraggiare chiunque voglia candidarsi per un incarico amministrativo, creando un clima di timore costante legato alla possibilità di essere coinvolto in indagini senza fondamento, mettendo a rischio il proprio lavoro e la propria reputazione agli occhi dei cittadini».

«Il legislatore deve intervenire immediatamente - continua la nota - per correggere una legge e una prassi che sembrano appartenere a epoche passate. Solo attraverso un approccio basato sull'equità, la giustizia e il rispetto dei principi fondamentali del diritto possiamo sperare di riscattare l'immagine del Sud Italia e contribuire a ristabilire un senso di unità nazionale più inclusivo e prospero».

Qualcuno dice che una proposta di legge di riforma potrebbe essere licenziata nei prossimi giorni dal Consiglio dei Ministri. Ma si tratta solo di indiscrezioni. 
Certa invece è la manovra di Azione portata avanti dal solito Enrico Costa, responsabile giustizia del suo partito e balzato agli onori delle cronache per essere l’artefice della famosa legge bavaglio, quella che impedisce ai cronisti di pubblicare, in toto o parzialmente, i contenuti delle ordinanze di custodia cautelare.
In attesa di una eventuale riforma della legge sullo scioglimento, Costa vorrebbe modificare il decreto Severino, dalla ministra Guardasigilli Paola Severino.

Il decreto ad oggi prevede per gli amministratori locali che basta una condanna non definitiva, quindi anche in primo grado, per doversi dimettere. Costa vuole eliminare proprio questo. Vuole parificare i sindaci ai parlamentari. Vuole che anche per loro valga la regola della decadenza e della non candidatura solo in caso di una condanna definitiva. Per farlo Costa ha presentato un emendamento al Decreto Elezioni che già ha incassato il sì del Senato e adesso è atteso in discussione alla Camera. Costa si dice certo che nel segreto dell’urna è molto probabile che il suo emendamento passi. Ma resta questione marginale rispetto a quella più pesante delle regole che sottendono lo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose.

Giornalista
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