La via crucis della Calabria

Inchiodati a un’esistenza di disperazione: le storie di un invalido e un imprenditore aggrappati alla misera pensione

A causa di una grave malattia Claudio a 40 anni perse il suo impiego statale. Con la pandemia anche la moglie è rimasta senza lavoro e ora sopravvivono con poche centinaia di euro al mese. Alessandro vive nella villa che si costruì negli anni ‘80 quando gli affari andavano a gonfie vele ma oggi di quei fasti non è rimasto più nulla (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Francesca  Lagatta
2 aprile 2023
06:30

Claudio è sdraiato sul letto, come tutti i giorni, e con le poche forze che gli lascia la subdola malattia che lo ha affligge da tredici anni, prova a spiegare in video telefonata qual è il suo stato d’animo: «Vorrei lasciarmi andare, ma non posso. Se io mollo, lascio la mia compagna in mezzo a una strada e questo pensiero mi turba profondamente». Nell’Italia del 2023, per alcune persone anche morire è diventato un lusso e la storia di quest’uomo, 52 anni, calabrese della provincia di Cosenza, ne è la prova. Claudio fino al 2011 era un impiegato statale, aveva la serenità di un posto fisso e guadagnava uno stipendio di tutto rispetto. Il suo corrispettivo era di 1.800 euro al mese. Poi, dopo una serie di malesseri, ha scoperto di avere una sindrome rara e neurodegenerativa che nel giro di un anno lo ha costretto a rassegnare le dimissioni dal suo incarico. «Andare in pensione a 40 anni è stata una sconfitta, soprattutto dal punto di vista psicologico. D’un tratto è stato come se fossi diventato vecchio, incapace di qualsiasi cosa, persino di percorrere da solo una rampa di scale, mentre nella mia testa c’erano ancora tutti i sogni e i progetti di un uomo che ha fame di vita». Vi è di più. Con la pensione di invalidità, che è di circa 1.100 euro, il suo potenziale di acquisto si riduce drasticamente ed è costretto a cambiare anche le sue abitudini. Eppure, ancora non sa che quella pensione, negli anni a seguire sarà l’àncora di salvezza per lui e per la sua famiglia.

La crisi e l’angoscia

La malattia di Claudio galoppa, nonostante i tentativi di arrestare l’inesorabile corsa con terapie pesantissime e trapianti. A qualche anno dai primi sintomi, diventa completamente dipendente dalla compagna. Così, in nome dell’amore, Elisa lascia il suo vecchio impiego, che la tiene occupata tutta la giornata, e va a lavorare in una mensa scolastica per cinque ore al giorno, cinque giorni su sette. Lo stipendio non è altissimo, la busta paga è di circa 800 euro al mese, ma quei soldi, sommati alla pensione di Claudio, sono sufficienti, bastano per vivere una vita dignitosa e portare il piatto in tavola al netto di tutte le spese, affitto, bollette, benzina, medicinali, visite mediche e tutte il resto. Nel loro dramma, Claudio ed Elisa trovano il loro equilibrio. L’idillio si interrompe quando, all’improvviso, arriva la pandemia da coronavirus. Elisa perde il lavoro dall’oggi al domani, senza alcuna tutela. Il contratto che ha sottoscritto, l’ha lasciata con un pugno di mosche in mano. Prova a bussare a tutte le porte che può, ma non si aprono. In quel momento, la ricerca di un nuovo lavoro è pura utopia e la pensione di invalidità del compagno diventa l’unica forma di sostentamento. Ma far quadrare i conti è difficile, solo per il fitto e le bollette vanno via più di 600 euro. Elisa, che ha già un corpo gracile, comincia a parlare di “dieta”. «Ma non ne hai bisogno», le dice Claudio. «Un po’ di equilibrio a tavola mi farà bene», replica lei. Solo che “equilibrio”, in questo caso, significa saltare la cena, molto spesso, e passare le notti insonni a contorcersi dalla fame. Nemmeno questo basta. I giorni passano, le spese si accumulano e la coppia è costretta a ricorrere a un prestito. Per un po’ respirano, ma l’inflazione, le guerre e il carovita fanno aumentare i prezzi a dismisura. Il caro bollette, poi, polverizza tutto il budget destinato all’acquisto del cibo. «A quel punto – confessa Claudio - abbiamo dovuto fare l’ultima cosa che volevamo: chiedere aiuto alle nostre famiglie, che vivono lontano, dicendo loro la verità, e cioè che eravamo in difficoltà, contrariamente a quanto avevamo detto fino al giorno prima per tranquillizzarli».


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Una nuova consapevolezza

In preda ai dolori della malattia e sopraffatto dal dispiacere, un giorno lui si ritrova da solo in casa e pensa di farla finita. «Poi mi sono detto: “Se io me ne vado, trascino Elisa con me all’inferno. No, non posso farlo». Si ferma un attimo prima della fine.  La compagna lo trova in preda a una crisi di pianto. «Amore mio – dice alla compagna, gettandosi al collo -, abbiamo superato tante tempeste, supereremo anche questa, te lo prometto». Elisa non sa, ma intuisce, sente una stretta allo stomaco. Intanto – è il mese di novembre di cinque mesi fa – la pandemia sembra ormai alle spalle. Una mattina, il suo telefono torna a squillare. «Se vuoi, puoi tornare al lavoro», le dice la voce dall’altro capo del telefono. Elisa si sente mancare il respiro dalla felicità, ma quegli attimi durano poco: lo stipendio, precisano, è dimezzato. «Vedi – dice Claudio, con la voce flebile – non posso andarmene. Anche se non ho le forze, devo continuare a lottare. Quando sono andato in pensione giovanissimo, mi sono sentito morire. Oggi ho la consapevolezza che senza la mia pensione, io e la mia compagna saremmo già finiti sotto a un ponte da un pezzo. E la benedico».

Dallo sfarzo alla povertà

Alessandro è il protagonista di quest’altra storia. Il suo è il volto di quell’Italia che, dopo una vita di lavoro, oggi vive ben oltre sotto la soglia di povertà. Alessandro ha 75 anni, vive a Praia a Mare, ed è in pensione dal 2016. Per raccontarci la sua vicenda ci accoglie nella sua casa elegante, una villetta alla periferia del paese curata nel minimo dettaglio, con vista sull’Isola Dino e il Golfo di Policastro. Tutto farebbe pensare che il proprietario sia un uomo facoltoso. «Una volta lo ero – dice, abbassando la testa per nascondere l’imbarazzo – ora non più». Alessandro e sua moglie Sara l’hanno costruita nel pieno del boom economico degli Anni ’80. Lui lavorava come artigiano, lei mandava avanti la famiglia e i figli, e insieme hanno fatto enormi sacrifici, riuscendo a mettere anche un bel gruzzoletto da parte. Nei primi Anni ‘2000, decidono di aprire un’attività commerciale da lasciare in eredità ai propri figli e investono tutto il loro denaro. All’inizio gli affari vanno a gonfie vele, poi con la crisi economica del 2008, gli incassi giornalieri cominciano a diventare poche decine di euro. Per due o tre anni, Alessandro è costretto a pagare i debiti del negozio con i guadagni della sua attività e per vivere gli resta ben poco. Nel 2011 la bottega chiude e lui, ormai stanco e demotivato, è costretto a ricominciare da capo.

La misera pensione

Cinque anni dopo, finalmente, taglia il traguardo della pensione. «Ma andare negli uffici a espletare la parte burocratica - ci dice -, è stata una doccia fredda». Gli addetti gli comunicano che nei primi anni di lavoro, prima di mettersi in proprio, i suoi datori di lavoro non hanno versato i contributi e che quindi avrà diritto alla pensione minima, e senza possibilità di replica. «Lo ricordo come se fosse ieri, mi dissero che avrei preso 524 euro al mese e io mi sentii svenire. Pensai: “Come faremo adesso a campare?”». Quei soldi, che pochi mesi più tardi diventano la “bellezza” di 567,00 euro, bastano appena per la spesa e le bollette. «Io e mia moglie mangiamo carne di rado, il pesce lo vediamo solo in tv». In compenso assumono carboidrati e grassi a volontà. «Pasta e pane, pane e pasta, un po’ di companatico e qualche cibo in scatola, andiamo avanti così da anni». Anche frutta e verdura sono spesso un miraggio, perché nonostante la misera pensione, Alessandro e sua moglie Sara aiutano i loro figli. «Lavorano entrambi - dice il marito – ma, come tutti, hanno i loro momenti di difficoltà. E quando capiamo che a fine mese non hanno più nemmeno i soldi per la benzina, cerchiamo per quel che possiamo di dare una mano, anche se si arrabbiano».

In arrivo un piccolo aiuto economico

Ma presto le loro finanze potrebbero migliorare, anche se di poco. Sara, che non ha ancora l’età pensionabile, ha fatto richiesta per il prepensionamento. «Si tratta di una somma di 200 euro al mese – dice Alessandro - e ne abbiamo diritto soltanto perché io ho la pensione minima». Il denaro potrebbe essere erogato già a partire dal prossimo mese. «Non vedo l’ora. Voglio portare mia moglie a mangiare al ristorante, soli, io e lei, come facevamo da giovani. Un’altra volta soltanto». Poi basta, perché quella cifra in più, ammesso che arrivi, è destinata alle cure, che negli ultimi anni i due coniugi non hanno potuto permettersi. A lui il medico aveva prescritto delle infiltrazioni al ginocchio, per non rischiare di perdere l’uso dell’arto destro inferiore, lei, invece, dovrebbe sottoporsi urgentemente a una serie di controlli, che rinvia da tempo. «E pensare – dice con un velo di nostalgia – che da ragazzi immaginavamo una vecchiaia spensierata, con una pensione degna dei nostri sacrifici». Invece, nel frattempo, l’Italia ha preso una brutta piega. «Però, sai che penso? Alla fine siamo fortunati. Anche se minima, io una pensione ce l’ho, so che ogni mese posso contare su quella piccola somma. Conosco tanti giovani, coetanei dei miei figli che, senza lavoro e senza sostegni, sono finiti in depressione o hanno dovuto lasciare le loro case e andarsene lontano da tutto e da tutti. Invece, a conti fatti, io grazie alla mia pensione posso continuare a godere della mia casa e di questo meraviglioso panorama».

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