Stop alla pubblicazione delle ordinanze, Costa: «Nessun bavaglio all’informazione, ma era necessario fermare la gogna mediatica»
Parla il deputato di Azione che ha presentato l'emendamento al centro del dibattito politico nazionale. «So di essermi messo in una posizione scomoda e mi preoccupa l’atteggiamento dei magistrati. Per anni le inchieste sono diventate sentenze»
Enrico Costa, deputato di Azione, è il parlamentare che ha presentato l’emendamento che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Una mossa che ha creato una grande eco nel dibattito pubblico e reazioni forti, come quella della Fnsi che ha deciso, per protesta, di disertare la tradizionale conferenza stampa di fine anno di Giorgia Meloni.
Costa, si sente al centro del mirino?
«Certamente la mia posizione non è comoda perché ho contro due categorie come i giornalisti e i magistrati che hanno un certo appeal sull’opinione pubblica. Capisco l’atteggiamento dei suoi colleghi visto che la norma va a incidere sul loro lavoro, molto meno quella dei magistrati. Anzi quella mi preoccupa. Nonostante questo mi riconosco un grande merito».
E quale?
«Di aver fatto aprire in Italia un dibattito sulla giustizia fuori dalle contingenze. Di solito in Italia si parla di queste cose in concomitanza di sentenze, di maxi retate, cose del genere. Ora siamo in grado di affrontare una riflessione seria e senza condizionamenti sulla questione».
Se ne sentiva il bisogno? Perché questa sua norma?
«In Italia ormai c’è l’abitudine di far passare l’ordinanza di custodia cautelare come una sentenza. Quello che si consolida nell'opinione pubblica è il flash dell’arresto, i riflettori della conferenza stampa, le paginate dei giornali sulle accuse. Tutto il resto passa in secondo piano. Le ragioni della difesa, le memorie, le controdeduzioni… tutto questo avviene a fari spenti. Quando arriva la sentenza, di solito dopo molto tempo, la vicenda non interessa più a nessuno. I giornali relegano la notizie in poche righe su qualche pagina interna. Quello che vogliamo garantire, invece, è non solo dare allo Stato le risorse per svolgere le indagini e punire i colpevoli, ma anche che un innocente esca dall’ingranaggio giudiziario nel quale è finito uguale, nella reputazione e nell’immagine, a quando ci è entrato».
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C’è chi dice che la pubblicazione dell’ordinanza è una garanzia anche per l’imputato. La gente legge le carte e magari capisce subito che si è trattato di un abbaglio...
«Trovo risibile l’idea che gli imputati sarebbero tutelati dal palcoscenico mediatico spiattellando le accuse contro di loro. Noi spendiamo 200 milioni l’anno in intercettazioni che non vengono fatte per finire sui giornali. La gente non deve difendersi sui giornali ma nel processo».
Sì, ma la gente ha diritto di sapere, c’è il controllo sociale, se so che un’attività è implicata in una certa vicenda magari non ci vado a spendere i miei soldi…
«Questo cosa c’entra con lo spiattellare 300 pagine di ordinanza sul giornale? E come la mettiamo con i terzi, con le persone non indagate?».
La legge prevede che le intercettazioni non strettamente connesse all’inchiesta e quelle con terzi non indagati non rientrano nelle ordinanze.
«Un po’ generica come norma, non trova? Difatti in qualsiasi ordinanza spesso troviamo di tutto con la scusa che alcune captazioni servono per inquadrare il contesto. Fra l’altro sottolineo come l’ordinanza sia la versione di parte di una storia».
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In che senso?
«Al momento dell’ordinanza la difesa ancora non ha detto una sola parola. Magari l’indagato può avere un alibi di ferro che ancora non ha tirato fuori perché l’ordinanza è un atto a “sorpresa”. Difatti ritengo che un passaggio importante della riforma Nordio, che noi certamente sosterremo, è la previsione dell’interrogatorio prima dell'emissione dell’ordinanza di custodia cautelare eccetto quando si presenta il pericolo di fuga. Con questo sistema, dando la possibilità alle persone di chiarire la propria posizione sin da subito, magari si evita qualche arresto eclatante ed infondato».
A proposito di arresti, noi giornalisti potremmo scrivere i nomi degli arrestati che magari sono contenuti solo nell’ordinanza? La pubblicazione serve anche a spiegare il perchè. Solo nei regimi totalitari la gente viene arrestata senza che nessuno sappia il motivo…
«Guardi, noi non abbiamo fatto altro che portare la situazione a prima della riforma Orlando del 2017 che prevedeva la possibilità di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare. Lei prima di quella data scriveva i nomi delle persone raggiunte da custodia cautelare?».
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Scusi ma lei non faceva parte di quel governo? Ricordo male o era ministro degli Affari regionali per il Nuovo centrodestra?
«Sì, ma io ero contrario a questa norma. Se va a vedere gli atti parlamentari scoprirà che al momento della votazione ho abbandonato gli scranni del Governo, sono andato fra quelli del mio gruppo e ho espresso voto contrario».
E cosa risponde alla Fnsi che invita Mattarella a non firmare la legge?
«Di leggere bene la norma. Scopriranno che non c’è nessun bavaglio all’informazione come non c’è stato in Italia fino al 2017. Poi io sono sempre disponibile al confronto ma pubblicare le ordinanze per me è una barbarie, visto che poi c’è il Riesame che potrebbe ribaltare tutto. Ma intanto il mostro è stato già sbattuto in prima pagina. Dal 1992 a oggi 30mila persone sono state arrestate ingiustamente e tutte hanno ricevuto un’ordinanza poi ribaltata. Col mio emendamento si potrà dare la notizia e spiegare il contenuto dell’ordinanza. Sarà vietato pubblicare testualmente l’atto processuale, zeppo di intercettazioni e informazioni ancora da verificare. Aggiungerei che della Costituzione non si può leggere solo l’articolo 21 sulla libertà di stampa, proviamo magari ad arrivare al 27. Lì troveremo la presunzione d’innocenza fino alla sentenza definitiva, proprio quella che vogliamo tutelare con il mio emendamento».